giovedì 20 marzo 2014

Movimento Sem terra: reinventare in movimento

Reinventare in movimento

Raúl Zibechi | 17 marzo 2014
Dopo tre decenni di lotta per la riforma agraria, il Movimento dei lavoratori rurali Sem terra ha deciso uno stop nel suo cammino per tracciare un bilancio, comprendere la nuova realtà e continuare a essere fedele a una delle sue parole d’ordine fondamentali: “trasformare trasformandosi”. Gilmar Mauro, uno dei dirigenti più prestigiosi del Mst, racconta così il futuro del Movimento: la nostra organizzazione è come una camicia ormai troppo stretta per un bambino che è cresciuto e quindi fa fatica a muoversi. Dobbiamo rifare la camicia. E ai giovani, raccomanda: “Cambiate tutto, rovesciate il tavolo, costruite nuove forme, sperimentate. Così è nato il movimento”. 
sem
“La nostra maggior vittoria è stata aver costruito un’organizzazione di contadini che ha riscattato la storia della lotta per la terra, è durata tanto tempo, ha mantenuto l’unità interna ed è diventata un punto di riferimento, anche internazionale”, così riflette, a mo’ di bilancio, Gilmar Mauro, dirigente storico di uno dei maggiori movimenti sociali del mondo (Carta Capital, 10 febbraio del 2014).
Tra il 10 e il 14 febbraio il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra  (Mst) ha tenuto il suo sesto congresso a Brasilia, forse il più importante dei suoi trenta anni, perché questa volta il doveva definire nuove rotte. Tra i 12 e i 15mila delegati hanno partecipato all’incontro, che si è distinto, com’è abituale nel movimento, per la solida organizzazione, basata sulla disciplina e il lavoro collettivo, ma anche per il carattere festoso, la mistica che si è manifestata lungo tutto l’evento con canzoni, rappresentazioni e performance che hanno dato quel tocco di emozione che si è convertito in segno di identità dell’organizzazione contadina. Un enorme accampamento autogestito, con tutti i servizi a carico del movimento, ha accolto i delegati.
Prima di concludere il sesto congresso, i delegati hanno marciato fino al Palazzo di Planalto, dove ci sono stati scontri con la polizia. Una nutrita delegazione del Mst è stata ricevuta da Dilma Rousseff giovedì 13 febbraio. Di fronte all’ampia lista di richieste insoddisfatte presentata dai Sem terra, che accusano il governo di aver concesso insediamenti al minor numero di contadini dal tempo della fine della dittatura, la presidente ha risposto con un laconico: “Dateci tutte le informazioni che potete su ciò che si sta facendo male, faremo dei cambiamenti”.
Era la prima volta che la presidente riceveva i Sem terra, che avevano lamentato di essere stati ricevuti varie volte da Lula e perfino dal conservatore Fernando Henrique Cardoso. Tre giorni dopo, nel suo programma settimanale alla radio, “Un caffè con la presidente”, Rousseff si è detta felice che quest’anno il Brasile diventerà il maggior produttore mondiale di soia con un raccolto record stimato di 90 milioni di tonnellate, un risultato che toglierebbe il primato agli Stati Uniti.
Poi la presidente ha aggiunto: “Il raccolto record 2013-2014 è il risultato dello sforzo congiunto dei nostri produttori, dello sviluppo di nuove tecnologie per le campagne e anche dell’aiuto dato dai programmi del governo agli agricoltori del paese” (Xinghua, 17 febbraio 2014). Dilma ha fatto notare che, per poter conservare tutto il raccolto, il suo governo ha messo a disposizione per i prossimi cinque anni una linea di crediti per circa 10 miliardi e 400 milioni di dollari destinati alla costruzione di silos. Proprio il contrario di ciò che chiedono i Sem terra, per i quali l’agro-business è il principale problema.
Una svolta storica
Per oltre un anno i Sem terra hanno discusso il bilancio della loro situazione a trenta anni dalla creazione del movimento. Hanno individuato i principali problemi che il movimento deve affrontare e hanno tracciato le linee di azione per superarli. Edgar Jorge Kolling, pedagogo e membro del settore dell’educazione del movimento, in un documento di preparazione al congresso intitolato “Reinventare il Mst perché continui ad essere il Mst”, ha messo in evidenza che “il nostro movimento sta vivendo uno dei momenti più difficili della sua storia: la riforma agraria è bloccata” (MST, 21 ottobre 2013).
Kolling fa una lettura molto sottile della realtà politica brasiliana e del ruolo che gioca il Mst. Assicura che la riforma agraria è uscita dall’agenda politica e che, con gli aiuti milionari del governo, l’agro-business avanza a passi da gigante. Nel frattempo, l’opinione pubblica, influenzata dai grandi media, “è soddisfatta o concorda con questo modello” e non comprende che sono in discussione due progetti per le campagne: l’agro-business e l’agricoltura contadina.
L’analisi della situazione del movimento è straordinariamente incisiva e non fa sconti: “Le famiglie senza terra disposte a lottare per la terra sono ormai poche, specialmente nel centro-sud del Brasile. Nelle regioni del nordest e del nord, dove si concentra la maggioranza di quelle famiglie, la lotta per la terra ha ancora un certo respiro, malgrado negli ultimi anni ci sia stata anche lì una diminuzione”.
L’analisi è molto significativa perché è proprio nelle regioni dove è nato il movimento che ora il Mst presenta le maggiori debolezze. Al momento di guardare verso l’interno, Kolling ha segnalato che “percepiamo una grande distanza tra la definizione politica della Riforma Agraria Popolare e il suo sviluppo da parte delle famiglie insediate. Non sono pochi gli insediati che privilegiano le monocolture, piantano semi transgenici, usano pesticidi e infine riproducono il pacchetto di programmi perverso dell’agro-business che il Mst combatte”.
Al contrario, le famiglie insediate che producono in modo agro-ecologico sono una minoranza, visto che, secondo il dirigente, il movimento non si impegna quanto necessario a promuovere negli insediamenti un modello tecnologico differente. Per questo ha proposto di “collocare gli insediamenti al centro dell’azione del Mst e di costituirli come un esempio di organizzazione della produzione e del lavoro e un esempio di coerenza nella scelta del modello produttivo e tecnologico”.
Gli insediamenti, circa 1.500 in tutto il paese, dovrebbero essere luoghi dove si vive bene, in equilibrio con la natura e la comunità. “Che nei più di mille municipi in cui siamo presenti servano di esempio nella disputa per l’egemonia”, annota Kolling.
Si tratta di una svolta rispetto a quel che è stato il movimento nei primi tre decenni. Una lettura realista e valida, anche se scomoda. Che rivela come il movimento sia vivo, vale a dire, abbia la volontà di superarsi e non accomodarsi alla situazione. Soprattutto perché anche tra gli insediati predomina una visione positiva dell’agro-business, che sta vincendo la battaglia per la terra. Nel 2011, il primo del governo di Dilma, sono state insediate appena 22 mila famiglie, il numero più basso degli ultimi 20 anni.
Per cambiare questo rapporto di forze, il Mst propone di “bere dal proprio pozzo”, come dice una massima di quella teologia della liberazione che ebbe un ruolo fondamentale nella nascita del movimento. Per questo, verso la fine del 2011, i Sem terra hanno scatenato un processo collettivo di dibattiti che è stato canalizzato verso il congresso, attraverso incontri, seminari, corsi, riunioni di lavoro. Migliaia di contadini sono stati coinvolti.
I risultati possono essere di arricchimento e proiettare il movimento in avanti per altri 30 anni: “Prendere misure per fare dei cambiamenti nella struttura organizzativa, nelle forme di lotta, nei metodi di direzione, identificare i nostri limiti, gli avanzamenti e le sfide”, annota il pedagogo dei Sem terra.

Una nuova riforma agraria
La svolta è maiuscola. Il movimento è nato occupando terre incolte dei possidenti, resistendo su quelle terre e sudando per trasformarle in spazi per vivere. Da lì la parola d’ordine “Occupare, resistere, produrre” che, fin dai primi incontri, il Mst ha adottato. In questo lungo periodo, uno dei segni di identità, come ricordano le foto di Sebastián Salgado, era il momento dell’occupazione, quando, con falce in mano e i volti concentrati, i contadini abbattevano i recinti ed entravano nelle tenute.
Gli accampamenti con i teli di plastica neri sui bordi delle strade, dove per anni vivevano per mobilitarsi e ottenere l’espropriazione dei latifondi, annunciavano ai viaggiatori che lì si lottava per la terra.“Non si riesce più a espropriare il latifondo improduttivo e a ripartire la terra tra le famiglie”, ragiona Cedenir de Oliveira, del Coordinamento Nazionale del Mst. Quella riforma agraria è stata superata dalla nuova realtà.
Ora serve che il movimento “sia portatore di un modello di agricoltura centrato sulla produzione agro-ecologica di alimenti, su un sistema di cooperazione agricola e associato a piccole agro-industrie, un sistema che rispetti l’ambiente e garantisca la salute dei produttori e dei consumatori di prodotti agricoli ma che, a sua volta, contribuisca alla conquista della sovranità alimentare del paese”.
Per fare questo passo, il movimento deve “dialogare con la società”, associarsi con la popolazione dei piccoli municipi rurali, la più colpita dalle fumigazioni e dalla mancanza di lavoro provocata dall’automazione che continua a espellerli verso le periferie urbane.
Di questo tratta, fondamentalmente, il nuovo programma del Mst che i Sem terra chiamano Riforma Agraria Popolare. È la medesima logica di sempre, però adattata all’inarrestabile espansione dell’agro-business: giganteschi investimenti di banche e multinazionali che hanno provocato l’aumento geometrico del prezzo della terra, il che rende impossibili le espropriazioni da parte dello Stato. Quegli investimenti si sono diretti verso le monocolture come quelle della soia, della canna da zucchero e degli eucalipti, a danno delle coltivazioni alimentari, per produrre mangimi, combustibili e carta.
“Con il suo potere economico, l’agro-business impone a tutta la società quella produzione di monocoltura, facendo pressione affinché le banche concedano più crediti a queste coltivazioni che ai prodotti che non sono scambiati nelle borse valori internazionali”, ragiona Miguel Stédile, membro della Direzione Nazionale. Quella è la ragione per cui l’area agricola destinata agli alimenti diminuisce tutti gli anni. Buona parte del riso e dei fagioli che costituiscono il piatto tradizionale dei brasiliani ora viene importata dal Messico e dalla Cina perché gli appezzamenti di terreno che li producevano sono stati sostituiti dall’agro-business.
Per questo il movimento è impegnato a realizzare il dialogo e l’alleanza con la società intorno alla sovranità alimentare. Produzione diversificata e agro-ecologia, sommate alle infrastrutture sociali nel campo (scuole, strade, ambulatori, spazi per il riposo e l’intrattenimento), sono la parte essenziale del nuovo programma con il quale il Mst spera di conquistare alleati, specialmente nelle città.
Questa svolta è imposta, oltre alle ragioni di fondo dibattute nel congresso, da cambiamenti più sottili ma non meno problematici per il futuro del movimento. Alla fine dell’anno passato, il governo federale ha emanato la Misura Provvisoria 636, che comprende una disposizione che può mettere fine alle conquiste di trenta anni di lotta per la terra.
Secondo questa disposizione, le terre degli insediati dalla riforma agraria, che fino ad ora sono pubbliche con diritto all’usufrutto da parte delle famiglie, saranno titolate comeproprietà privata, per cui gli insediati saranno in condizioni di vendere il proprio appezzamento. È un progetto che è stato promosso già due decenni fa dal governo di Fernando Henrique Cardoso e che le due gestioni di Lula non avevano potuto realizzare.
“L’argomentazione è che, concedendo il titolo di proprietà, l’agricoltore cesserebbe di essere un dipendente del governo e delle politiche pubbliche”, spiega Débora Nunes del Coordinamento Nazionale (Mst, 18 febbraio 2014). Molte famiglie desiderano avere un titolo di proprietà ma in realtà il problema si potrebbe risolvere con un titolo di concessione dell’uso della terra che includa anche il diritto all’eredità ma non alla vendita. “La vendita delle terre della riforma agraria permette un aumento della concentrazione della terra”, dice Nunes.
Percorsi da costruire
In trenta anni di esistenza, questa è stata la prima occasione nella quale il congresso del Mst ha promosso un tavolo di confronto sulla partecipazione delle donne. Secondo Nivia Regina, del Coordinamento Nazionale, il Mst sta comprendendo che “la lotta delle donne è una condizione essenziale per la trasformazione della società”. Il primo passo, secondo lei, è superare l’idea, consolidata nella storia delle lotte contadine, secondo la quale il posto delle donne è quello di essere semplicemente le amanti dei protagonisti delle lotte.
Secondo Conceição Dantas, della Marcia Mondiale delle Donne, la mancanza di riconoscimento si deve allo stretto nesso tra il capitalismo e il patriarcato, perché il capitale trae benefici dalla divisione sessuale del lavoro che colloca le donne negli incarichi meno valorizzati. “Un buon esempio è il lavoro di selezione della frutta, nel quale le donne sono obbligate a usare pannoloni perché non possono assentarsi nemmeno per andare al bagno”, ha detto Adriana Mezadri, del Movimento delle Donne Contadine (Mst, 13 febbraio 2014).
È solo uno dei dibattiti che attraversano il Mst. Anche prima del congresso il movimento è entrato in pieno nel dibattito politico di un anno elettorale dove ci saranno manifestazioni durante il Mondiale, giacché il 75 per cento dei Brasiliani sono contro gli investimenti fatti per le mega-opere (Exame, 18 febbraio 2014).
Joao Pedro Stédile, coordinatore e principale figura pubblica del movimento, riconosce che non c’è alcuna riforma agraria né ci sono nuovi insediamenti. Sostiene che quel che manca sono “cambiamenti nel regime politico che non rappresenta nessuno”, oltre ai cambiamenti economici (Brasil de Fato, 4 febbraio 2014). Stédile si è mostratofavorevolmente sorpreso dall’emergere nelle manifestazioni di giugno 2013 di un nuovo movimento giovanile, perché quelle proteste “hanno riportato la politica nelle strade”. Tutto il movimento tiene viva la mobilitazione sociale e partecipa a un fronte sociale con la Centrale Unica dei Lavoratori.
Stédile però non auspica che ci siano proteste durante il Mondiale di calcio. “Preferisco che le mobilitazioni comincino dopo, perché durante il Mondiale possono confondere la gente, che il Mondiale lo vuole, e possono ridurre le manifestazioni a proteste solamente contro quanto è stato speso per le opere”. Su questo punto, coincide con il governo del PT, partito al quale in fondo Stédile appartiene. Anche così, tuttavia, è convinto che “i veri cambiamenti non dipendono più dal calendario elettorale, ma dalla capacità dei lavoratori di costruire un programma unitario”.
Come in ogni grande organizzazione, anche nel Mst ci sono sensibilità diverse, sebbene non esistano correnti organizzate. In molti sensi, il movimento è un esempio di disciplina e, in modo molto particolare, di capacità di formazione e studio per i suoi militanti. “Non è che la richiesta di riforma agraria sia diminuita ma ora gran parte dei lavoratori ha la possibilità di trovare lavoro, non rimane più in un accampamento come avveniva negli anni Novanta”, riflette Gilmar Mauro.
Mauro prende i problemi di petto. “Mi piacerebbe che avessimo la forza per fare una riforma agraria da soli ma questo non è realistico. Allora il Mst deve lottare e negoziare”, riflette. È convinto che tanto il Mst come le altre associazioni di lavoratori devono cercare altri modi di organizzarsi perché non riescono a raggiungere l’insieme dei lavoratori.
“La sfida è quella di costruire organizzazioni di un altro tipo. Questo modello organizzativo del Mst è una specie di camicia stretta per un bambino che è abbastanza cresciuto, la camicia adesso gli crea difficoltà nel muoversi. Abbiamo bisogno di rifare la camicia”. Mauro crede che “la sfida sia costruire delle organizzazioni più orizzontali, più partecipative”. Ai giovani, dice: “Cambiate tutto, rovesciate il tavolo, costruite nuove forme, sperimentate”. Così è nato il movimento.
.
Fonte: Programa de las Americas http://www.cipamericas.org/es/
Traduzione per Comune-info: m.c.
Foto di Marcelo Camargo (il Sesto congresso Nazionale del Movimento Sem Terra), tratte da: www.ebc.com.br

lunedì 10 marzo 2014

Mondeggi: la fattoria senza padroni


di Daniela Poli, Eddyburg.it
Nelle campagne fiorentine in questi ultimi mesi una comunità variegata di soggetti sta cercando ditrasformare una “proprietà pubblica” in “bene comune”, mettendocela tutta per sconfessare la nota affermazione di Hardin (1968) sulla tragedia dei beni comuni. Al crescere della popolazione cresceva, secondo Hardin, l’indeterminazione e l’incapacità dei soggetti di trovare accordi e forme di gestione condivisa, così l’unico modo per salvare la risorsa era privatizzarla. L’esperienza del movimento “Mondeggi fattoria senza padrone”, sta percorrendo la strada opposta. Sta cercando di fermare la vendita di un bene pubblico, la fattoria medicea di Mondeggi, chiedendo alla pubblica amministrazione di sperimentare un accordo con un gruppo di soggetti che intendono prendere in carico la fattoria e gestirla in forma comunitaria in base a un documento di principi e di intenti che è stato discusso collettivamente in assemblee pubbliche e in rete e approvato definitivamente il 12 Gennaio 2014 nell’Assemblea plenaria territoriale di Pozzolatico.
Proprio nelle società avanzate in rapida crescita risulta non solo utile ma anche efficace reintrodurre la terza categoria economica del “comune”, schiacciata con la rivoluzione industriale dallapresenza bipolare dello Stato e del Mercato (Ostrom, 2006). Le gestione dei beni comuni ha consentito a molte fasce della popolazione di potersi sostenere integrando il reddito proveniente da altri settori e di mantenere efficacemente la risorsa (boschi, acque, pascolo, agricoltura, ecc.). Non casualmente in Toscana proprio i boschi più marginali, quelli ancora gravati dagli usi civici, sono fra i più ricchi in biodiversità, come emerge dallo studio per il piano paesaggistico della regione. Oggi lo spettro delle risorse da gestire in forma comunitaria si allarga e arriva a includere lo stesso spazio pubblico, istituzioni culturali come il Teatro Valle, attività produttive (Belingardi 2012). Da più parti emerge la richiesta di riconoscimento di queste nuove pratiche di gestione collettiva che troppo spesso vengono semplicemente rifiutate perché dichiarate tout court, “illecite”, confondendo ancora una volta giustizia e legalità. In molti casi, come ricorda Jan van der Ploeg (Ploeg 2009) sono le leggi recenti frutto ancora di un processo di modernizzazione imperante a mettere fuori leggele attività di lungo periodo attraverso le quali i contadini gestivano in maniera semplice e virtuosa le risorse territoriali. Molte delle pratiche agronomiche recenti (agricoltura biologica, biodinamica, contadina) riportano in auge prassi consolidate ibridandole con la contemporaneità (riuso delle energie locali, uso del buon letame, scambio delle sementi, scambio, baratto, ecc.).
Sovente queste novelties “violano i codici di comportamento esistenti o le norme per l’interpretazione delle cose”, diventando così semplicemente “illegali”, anche se contengono principi di giustizia e di moralità. Sostenere le novelties o le azioni di retro-innovazione (Stuiver 2006) significa in molti casi riabilitare tecniche e forme di gestione già presenti in passato e oggi fatte precipitare nell’abisso dell’illegalità.Affermare la cittadinanza di un altro modo di possedere (Grossi 1977) puntando sulla centralità del valore d’uso rispetto alla proprietà, come consuetudinein molte comunità contadine ancora sino alla soglia del XIX secolo,comportacome nel caso delle novelties un cambiamento legislativo.
In questo senso si muove come noto il lavoro in Italia della Costituente per i beni comuni che nelle assemblee itineranti sul territorio si occupa di definire giuridicamente il concetto di ” bene comune”, per allargare legalmente la forbice fra lo Stato e il Mercato, fra il Pubblico e il Privato e consentire alla moltitudine di risposte sociali che resistono all’omologazione modernizzatrice di trovare sempre più spazi di espressione (giardini, orti, teatri, parchi, spazi urbani, residenze, luoghi sociali, ecc.), affermando in tal modo la pienezza di una soggettività collettiva portatrice di diritti in tutti quei casi in cui, prescindendo dal titolo di proprietà del bene, si generino utilità comuni da preservare anche per le generazioni future. L’esperienza della fattoria di Mondeggi è una di queste tante realtà che costellano il panorama italiano.
Da qualche mese una variegata rete di soggetti (agricoltori, artisti, produttori biologici e biodinamici, cittadini dei GAS, studenti, tecnici, professionisti, giovani laureati)e associazioni si è federata a Firenze nel movimento Terra Bene Comune, con lo scopo didifendere il diritto all’accesso alla terra e di contrastare la vendita dei beni demaniali proponendo in alternativa l’affidamento in comodato di aziende agricole e terreni pubblici a giovani e soggetti della nuova “agricoltura contadina”. La Fattoria di Mondeggi è diventata ben presto il simbolo di questa lotta con il costituirsi in forma assembleare del Comitato verso Mondeggi Bene comune Comune molto radicato anche nel territorio locale.
L’Azienda agricola di Mondeggi-Lappeggi, situata nei rilievi collinari a sud est di Firenze nel comune di Bagno a Ripoli, è un bene di proprietà della provincia di Firenze dall’inizio degli anni 60 del secolo scorso. La tenuta, appartenuta a nobili fiorentini come i Bardi, i Portinai, i Della Gerardesca è stata per un breve periodo anche di proprietà di un ente collettivo come lo Spedale di Santa Maria Novella.a.[1] L’azienda è complessivamente di circa 200 ettari ed è composta approssimativamente da 12.000 olivi, da 22 ettari di vigne in parte da reimpiantare, da 60 ettari fra seminativi e pascoli, da 6 case coloniche e da una villa-fattoria con annesso parco storico di impianto ottocentesco.
Dopo l’acquisto da parte della provincia è stato smantellato l’antico assetto poderale che vedeva nella villa la fattoria centro aziendale con funzione di coordinamento dei poderi. La riorganizzazione generale è stata fatta secondo i dettami dall’allora fiorente agroindustria con la realizzazione di grandi superfici continue gestite da operai agricoli, la realizzazione di un “centro aziendale” con capannone ove portare le funzioni agricole un tempo svolte dalla villa, la distruzione dei poderi intesi come autonome unità produttive policolturali, la specializzazione delle colture finalizzata a una forte meccanizzazione. Seguendo la procedura dell’aziendalizzazione, la provincia ha affidato integralmente la tenuta agricola alla società agricola Mondeggi-Lappeggi srl mantenendo il controllo diretto sulla villa-fattoria e sul parco – luogo di svolgimento di molte feste pubbliche e di iniziative associative. La società Mondeggi-Lappeggi non ha mai definito un progetto organico e strategico di lungo respiro in grado di coinvolgere attori sociali e costruire un riferimento per la popolazione locale, rompendo la lunga tradizione di “vendita diretta in fattoria”. La retorica del “polo di eccellenza” totalmente estraneo al territorio ha portato alla definizione di sperimentazioni molto specialistiche talvolta in concorso con soggetti privati (frantoio di qualità, combustore per biomasse da colture oleaginose, fertilizzanti fogliari di sintesi della multinazionale YARA, ecc.) mentre le colture arboree venivano semiabbandonate e concesse in affitto con contratti annuali di coltivazione. La conduzione ha finito per produrre un indebitamento imponente (il comitato parla di circa1.000.000 di euro) e il degrado progressivo di unpatrimonio paesaggistico di enorme valore, che da sempre ha rappresentato un ancoraggio identitario per gli abitanti del territorio. Con la messa in liquidazione della Società si è aperta una fase di ricerca di possibili interessati all’affitto o all’acquisto della tenuta agricola, in toto o frazionata in più parti, fino ad arrivare poiterra anche all’inserimento della villa e del suo parco tra i beni alienabili dell’ente provincia. Il tutto con la fiera opposizione dell’amministrazione locale che non accetta di vederesvenduto una proprietà pubblica di tal entità. All’incapacità nella gestione di un bene pubblico si aggiunge quindi la miopia politica che non coglie la domanda sociale emergente dai bisogni della popolazione locale e non è in grado di rilanciare con un progetto di alto valore culturale, così come accade in molte realtà nazionali e internazionali: il parco-campagna nella provincia di Bologna o il parco sud Milano, per citare solo i più noti in Italia, producono innovazione proprio a partire dalle messa in valore di aziende agricole pubbliche.
Il comitato per Mondeggi Bene Comune ha iniziato un’interlocuzione con la provincianell’intento di ottenere l’affidamento dell’intera azienda in base alla Carta degli Intenti e dei Principi (cfr. allegato) redatta nel gennaio di quest’anno. Le azioni del comitatohanno cercato da subito di dialogare e di coinvolgere la popolazione locale nelle attività proposte. Le stesse modalità di costruzione partecipata della decisione sono strutturate in forme inclusive che coinvolgono tanto i futuri abitanti di Mondeggi – la Fattoria, un gruppo di quasi 40 persone che intendono vivere e a lavorare nei poderi traendone il proprio sostentamento -– quanto gli attivisti che partecipano al progetto e la comunità locale – organizzati nell’assemblea territoriale.
Le assemblee del comitato si susseguono a ritmo incalzante e hanno creato in poco tempo una comunità inclusiva, in grado di intercettare il sentire degli abitati e di produrre progetto locale che, in virtù delle competenze collettive che raggruppa, produce documenti e progetti tecnici di trasformazione come supporto alla richiesta di affidamento del bene. Il progetto è articolato, ma si fonda sull’idea che la reintroduzione dell’agricoltura contadina sia un vantaggio per tutta la società grazie ai servizi ecosistemici che produce, alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio insiti nelle forme della suo farsi, alla capacità di creare ricchezza localizzata con un mercati locali che ruotano attorno alla filiera corta e alla vendita diretta. L’agricoltura contadina è naturalmente multifunzionale con possibilità di sviluppare attività didattiche, sportive, turistiche, ricettive, artigianali e ludiche.
1797469_1390821601180808_292958475_nUna delle primissime azioni dimostrative fatte dal comitato è stata la “festa per la raccolta delle olive di Mondeggi”. A Firenze la raccolta delle olive e i festeggiamenti dopo la frangitura con pranzi e cene a base d’olio nuovo sono da sempre un momento di gioia iscritto nel patrimonio genetico locale. Una giornata in cui una folla di variegata umanità (quasi 150 tra studenti universitari, anziani del territorio, bambini coi loro genitori, stranieri, professionisti) ha lavorato dalla mattina presto fino al pomeriggio tardo trovando il tempo anche per seguire lezioni di potatura. Il 50% dell’olio prodotto, come da consuetudine, è andato a chi ha fatto la raccolta e il restante è stato redistribuito alla popolazione di Bagno a Ripoli in occasione di mercati ed eventi pubblici con il logo “olio di Mondeggi” e la spiegazione sugli intenti del movimento di salvare un bene della comunità. La raccolta popolare si è inserita nel contesto della due giorni nazionale per i Beni Comuni, 16 e 17 novembre, lanciata da Genuino Clandestino,[2] come esempio di uso dei beni comuni per la produzione di lavoro utile e di ricchezza diffusa.
Nella tenuta si sono svolte affollate passeggiate progettanti, sempre aperte a tutta la popolazione, in cui i partecipanti, in base alle loro competenze, hanno espresso desideri e condiviso informazioni storiche, tecniche e agronomiche. Un’altra iniziativa è stata quella del riconoscimento e della raccolta delle erbe spontanee nelle terre di Mondeggi che ha visto la partecipazione di più di cento persone provenienti luogo massicciamente dal comune di Bagno a Ripoli. La presentazione del progetto viene fatta in molti e affollati luoghi d’incontro sul territorio, in cene e assemblee nei circoli ricreativi che hanno tutte un riscontro di consenso e di seguito inimmaginabile. [3] E’ stato presentato alla provincia, nelle more della liquidazione della società Mondeggi-Lappeggi srl (che non consente oggi alla provincia di poter disporre degli immobili) una richiesta di breve periodo per l’affidamento al comitato delle terre incolte e di alcune strutture che potrebbero sin da subito consentire di svolgere alcune attività agricole produttive pur senza abitare nei luoghi – con la disponibilità del comitato a formalizzare una qualche forma associativa che consenta l’affidamento istituzionale del bene. È di questi giorni un affollatissimo consiglio comunale in cui tutte le forze politiche all’unanimità hanno votato una mozione nella quale si chiede alla provincia di non proseguire con la vendita e di trovare le forme per affidare la fattoria ai soggetti che,intervenuti al consiglio stesso,hanno proposto progetti con la richiesta di affidamento parziale del bene. E’ stata istituita a tal fine una commissione mista composta da rappresentati delle istituzioni (tecnici e amministratori di provincia e comune) e da rappresentanti del comitato. Si è aperta una fase delicata che vede tutto un paese coinvolto sulle sorti della fattoria.
E’ auspicabile che anche nelle amministrazioni locali fiorentine sia possibile trovare le modalità per trasformare azioni e intenti nella definizione concreta di quelle terza forma di bene, né pubblico né privato, che molti comuni italiani stanno cercando di mettere a punto da Bologna a Roma da Milano a Napoli. Questi primi primo segnali di dialogo lasciano bene sperare sul fatto che proprio dal paesaggio fiorentino, luogo di sperimentazione in tempi storici, possa nascere un’opportunità in grado di dare corpo a quel senso del paesaggio democratico, quotidiano e inclusivo che la Convenzione Europea del paesaggio, firmata proprio in una fattoria medicea, propugna.

Bibliografia citata
Belingardi C. (2012), “Città bene comune e diritto alla città”, in Bellomo M. et al. (a cura di) Abitare il nuovo/abitare di nuovo ai tempi della crisi, ,Clean, Napoli.
Grossi P. (1977), Un altro modo di possedere. L’emersione di forme alternative di proprietà alla coscienza giuridica postunitaria, Giuffrè, Milano
Ostrom E. (2006) Governare i beni collettivi, Marsilio, Venezia – ed. orig. 1990.
PloegJ. D. van der (2009), Nuovi contadini. Le campagne e le risposte alla globalizzazione, Donzelli, Roma – ed. orig. 2006
Stuiver M. (2006), “Highlighting the Retro Side of Innovation and its Potential for Regime Change in Agriculture”, in Terry Marsden T., Jonathan Murdoch J. (ed.), Between the Local and the Global – (Research in Rural Sociology and Development, Volume 12 ), Emerald

Note
[1] http://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=57098&RicProgetto=reg-tos
[2]http://genuinoclandestino.noblogs.org/
[3] Cfr. il blog di Verso Mondeggi Bene Comune Fattoria Senza Padroni http://tbcfirenzemondeggi.noblogs.org/ e la pagina Facebookhttps://www.facebook.com/mondeggi.benecomune

Appendice
Carta degli Intenti – Verso Mondeggi Bene Comune
L’intento principale è quello di riabitare Mondeggi, insediando nuclei familiari e singole persone nelle abitazioni rurali già esistenti della Fattoria, in modo da ricostituire il “popolo di Mondeggi” che dovrà essere composto in primo luogo da coloro che si dedicheranno al lavoro della terra.
All’interno del nuovo villaggio contadino verrà praticata un’agricoltura familiare dedicata all’autosufficienza alimentare dei poderi, attraverso orti condivisi e piccoli allevamenti da cortile, inoltre gli abitanti – assieme anche a persone non residenti a Mondeggi, ma che vorranno lavorarci tutti insieme nell’intento di ridurre progressivamente l’impronta ecologica costituiranno la “Fattoria senza padroni” che si articola mediante due forme assembleari:l ’Assemblea di Fattoria e l’Assemblea plenaria territoriale.
L’Assemblea di Fattoria stabilirà la forma associativa, lo statuto e il regolamento e definirà i metodi di funzionamento interno inclusa la turnazione dei responsabili della gestione, inoltre sarà lo strumento primario di organizzazione del lavoro, delle risorse, e dei piani colturali, basandosi su i seguenti principi cardine:
la solidarietà al posto della concorrenza;
la giustizia sociale;
l’uguaglianza e la reciprocità dei diritti;
l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali;
la salute dei produttori e dei consumatori;
la salvaguardia e l’incremento della biodiversità e della fertilità dei suoli.
l’utilizzo di forme di finanza mutualistica e solidale e di pratiche di scambio e di baratto.
Sulla base di questi principi l’Assemblea di Fattoria si occuperà delle colture più impegnative per estensione e da reddito, organizzandosi in gruppi di interesse, ritenendo vitale lo scambio di manodopera e il mutuo soccorso.
I mezzi di produzione potranno essere di proprietà collettiva o individuale, mentre i locali di spaccio, trasformazione e stoccaggio saranno comunitari. I prodotti contadini verranno distribuiti al pubblico direttamente nello spaccio della Fattoria e attraverso il circuito dei Mercati Contadini e dei Gruppi d’Acquisto Solidale.
Dato che la Fattoria di Mondeggi è per tutti noi un bene comune, riteniamo che appartenga alla comunità territoriale che con essa ha rapporti storici e culturali.
Nostro intento quindi, sarà quello di includere per quanto possibile, la comunità nella gestione partecipata.
L’Assemblea di Fattoria, con questi intenti assumerà le decisioni al suo interno mediante il Metodo del Consenso e le sottoporrà all’Assemblea plenaria territoriale che potrà esprimere pareri e modifiche con il medesimo Metodo.
Le due Assemblee sono composte da persone singole, nel rispetto della Carta dei Principi.

La fattoria aperta
La prossimità di Mondeggi all’area urbana risulta strategica per rinnovare le relazioni fra città e campagna, sensibilizzando e coinvolgendo cittadini-consumatori sempre più consapevoli e contadini-produttori sempre più responsabili in percorsi di co-produzione.
Per questi motivi la “Fattoria senza padroni” sarà sempre aperta alla popolazione attraverso varie attività: laboratori didattici per bambini e non solo, un calendario di visite alla fattoria sul modello dei percorsi di Garanzia Partecipata, programmi d’integrazione della disabilità, momenti di festa e convivialità legati alle produzioni stagionali, ma soprattutto attraverso un confronto costante tra l’Assemblea dei residenti e l’Assemblea plenaria territoriale per Mondeggi Bene Comune – Fattoria senza padroni, in un virtuoso rapporto di reciproca dipendenza.
Questa mutua dipendenza dovrà essere sempre salvaguardata.

A scuola dai contadini

Sappiamo bene che non si può parlare di ritorno alla terra, di “rinascimento dell’agricoltura” se non si creano momenti di trasmissione gratuita dei saperi e delle buone pratiche.
Per questo riteniamo che il villaggio contadino che potrebbe nascere a Mondeggi sarebbe il luogo ideale per una scuola di vita contadina.
Questo tipo di attività formativa potrebbe inoltre avvalersi del contributo dell’Ass.WWOOF Italia, vista la sua esperienza pluridecennale nel mettere in relazione le persone che vogliono fare pratica di agricoltura naturale e le aziende che già la fanno.
Oltre alla conoscenza diretta delle pratiche agricole la Scuola Contadina potrebbe anche offrire incontri e seminari dedicati, proporre mostre e presentazioni di libri sulla civiltà contadina e l’agricoltura naturale, convegni, mostre e tutte quelle attività volte alla promozione dei contenuti della presente Carta dei Principi e degli Intenti in collaborazione con tutti coloro che vi ci si riconoscono.

Il parco della condivisione
Perché Mondeggi sia un luogo di condivisione, avanziamo queste proposte:
- dedicare parcelle di seminativo ad orti sociali e condivisi, assegnati dalle assemblee a gruppi di famiglie o singoli che vogliano dedicarsi all’autoproduzione di almeno una parte del proprio fabbisogno alimentare;
- creare un vivaio “popolare” contadino per la produzione di piantine biologiche che vada incontro alle esigenze dei piccoli produttori, degli amatori e di chi produce per l’autosostentamento e che possa coinvolgere nel ciclo produttivo anche persone in difficoltà. Il vivaio avrà inoltre le funzioni di recupero del germoplasma, valorizzazione della biodiversità agraria e vegetale, di banca del seme, riproduzione di varietà rare o antiche, luogo d’incontro, confronto e scambio di conoscenze sui semi/marze, innesti, lieviti ed esperienze su tempi, modi e tecniche colturali senza utilizzo di prodotti chimici di sintesi;
- allestire un apiario didattico dove poter osservare in tranquillità il volo delle api;
- allevare animali dedicati sia a fini produttivi che terapeutici nei principi del benessere reciproco;
- allestire uno spazio dedicato al gioco dei piccoli e dei meno piccoli;
- realizzare un teatro di paglia dove organizzare nel periodo estivo rassegne di teatro, musica e balli nell’aia e dinamicamente tanto altro;
- fare di Mondeggi il centro di itinerari di conoscenza e di pratica amichevole dei valori del Territorio, a cominciare dalle terre pubbliche di Bagno a Ripoli.
- organizzare momenti di raduno nazionale delle reti contadine.
Mondeggi Bene Comune – Fattoria senza padroni sarà un percorso di sperimentazione sociale in continua evoluzione.
Questo documento è il risultato di un percorso partecipativo, che si è sviluppato attraverso molteplici incontri, iniziative e assemblee pubbliche.

Il presente documento è stato approvato dall’Assemblea plenaria territoriale domenica 12 Gennaio 2014 in Loc. Pozzolatico (Impruneta, Fi)

Terre pubbliche, arriva il bando Arsial nel Lazio

Quarantaquattromila nel Lazio e più di mille solo a Roma. Sono i numeri dei nuovi imprenditori agricoli, quelli che alla soglia dei trentasette anni dirigono le loro aziende. Abbastanza giovani da rappresentare un'anomalia salutata con entusiasmo dalle categorie di settore. Ma il ricambio generazionale nelle campagne romane è ancora tutto da costruire, come dimostra l'ultimo censimento Istat (2010) che non può tenere conto dei “giovanissimi”, aspiranti contadini senza eredità e credito. A questi, invece, si erano rivolti in campagna elettorale gli amministratori locali, promettendo di mettere a bando le terre pubbliche nei primi cento giorni di governo.
Un ottimismo largamente superato, complice la macchina amministrativa del Comune impantanata negli errori del passato, tra aree verdi ostaggio di compensazioni urbanistiche (peraltro scadute, come dimostrail caso di Borghetto San Carlo) e uffici tecnici “in sofferenza numerica” riferiscono dagli assessorati.
ARSIAL, PRONTO IL BANDO - Marce ingranate invece in Arsial, l'Agenzia regionale che si occupa di agricoltura, dove già dalla prossima settimana verrà presentato il piano per le terre incolte. “Abbiamo completato la ricognizione delle terre insieme all'assessorato regionale – dichiara Rosati – non è emerso un patrimonio immenso nella disponibilità dell'Arsial, ma parliamo comunque di oltre 300 ettari. Lunedì incontreremo il Coordinamento romano per l'Accesso alla Terra per una riunione tecnica e dopo qualche giorno, probabilmente mercoledì, saremo in grado di pubblicare la prima manifestazione di interessi a cui seguirà il bando con le agevolazioni pensate proprio per i giovani”. Otto, secondo le prime indiscrezioni, le aree individuate: in provincia di Roma, a Cerveteri, Viterbo, Nazzano, Magliano Romano, Montalto di Castro, Tarquinia e Proceno.
Campagna (foto di Cooperativa Coraggio)
LA DELIBERA IN CAMPIDOGLIO - Dal Comune nessun passo indietro rispetto al programma elettorale, rassicura l'assessore al Patrimonio, Luigi Nieri: “La delibera è stata scritta, firmata, e consegnata al Segretariato Generale come da prassi – spiega – su questo testo ci confronteremo con la maggioranza a cui sta a cuore il futuro dei giovani agricoltori e approveremo il bando per le terre pubbliche”. “Il patrimonio agricolo deve diventare non solo un elemento di ripresa economica, ma anche e soprattutto un elemento ambientale e culturale” aveva detto il sindaco Marino lo scorso 16 ottobre, in occasione della Giornata mondiale dell'alimentazione.
UNA GENERAZIONE PRONTA A SEMINARE” - E' quello che chiede da oltre due anni il 'Coordinamento romano per l'Accesso alla Terra': “Se è vero che le amministrazioni romane e laziali sono giovani e affrontano notevoli emergenze, è vero anche che quello agricolo è settore un strategico per il rilancio economico e sociale, in grado di valorizzare le risorse migliori del nostro ricco territorio - dichiara il portavoce, Attilio Albiani -, come Coordinamento abbiamo fornito ampie analisi e soluzioni a portata di mano, siamo stati tra i primi in Italia a parlare di terre pubbliche, ma le altre regioni ora sono più avanti”. In Toscana ad esempio, dove è già operativa la 'Banca della Terra', a un anno dal varo della legge regionale che istituisce l’Ente 'Terre di Toscana'. Perfino la ministra dell'Agricoltura, Nunzia De Girolamo, ha accolto un emendamento che riserva il 20% dei terreni agricoli demaniali per l'affitto agli under 40. “Ogni giorno che passa sono soldi e servizi che non produciamo, posti di lavoro che rimangono in attesa – aggiunge Albiani - e questo è grave e sconveniente. I tempi dell’agricoltura non sono quelli della politica, non sprechiamo una generazione che ha voglia di rimboccarsi le maniche, non perdiamo un’altra semina”.
LA REGIONE FARA' LA SUA PARTE” - La legge nel Lazio è già scritta, e le sue sorti sono legate al consiglio regionale. La prima firmataria del testo, la consigliera Marta Bonafoni (Per il Lazio) rilancia: “Il 2014 si deve aprire sotto l'insegna delle terre ai giovani, un'operazione che rafforza i tre capisaldi della maggioranza: un nuovo modello di sviluppo, la valorizzazione dell'identità territoriale e le risposte al grandissimo tema della disoccupazione giovanile con la promozione dei talenti”. “La buona notizia, intanto, arriva dall'Arsial – commenta Bonafoni – ora il consiglio regionale dovrà assumersi le sue responsabilità, dotando il Lazio di una legge che è stata depositata all'ottava commissione e aspetta di iniziare il suo iter”. Sui tempi, conclude: “La commissione è stata impegnata in una questione fondamentale, la riduzione delle società regionali, e adesso siamo pronti a ripartire dai giovani”.  
 Carmen Vogani