domenica 23 dicembre 2012

Regione Toscana - ecco la Banca della Terra

Certamente un'operazione lungimirante quella della Regione Toscana, che finalmente si preoccupa del proprio Demanio e rende disponibili le risorse pubbliche ai cittadini, in particolare a chi vuol fare agricoltura.
Bisogna però tener presente anche l'interesse della Regione nel creare una metodologia "pulita" per vendere interessanti parti del Demanio, terreni che non avrebbero bisogno di essere alienati a privati, ma solo affittati, con la proprietà che rimane pubblica e quindi dei cittadini.
Inoltre pare che verranno privilegiate cooperative o gruppi agricoli già decisamente troppo estesi e poco rispettosi dell'ambiente (come cantine sociali o frantoi), il che dunque lascia emergere come questa operazione non sia tesa a sostenere l'insediamento rurale di disoccupati e aspiranti nuovi giovani agricoltori, tantomeno ci si indirizza in questo modo verso una stanzialità diffusa nei territori che salvaguardi dal dissesto idrogeologico e che promuova la Sovranità Alimentare.
In un periodo in cui la tendenza a privatizzare i Beni Comuni (Acqua, Servizi, Terra etc) è illegittimamente perpetrata a danno del patrimonio della Comunità dei cittadini, questa operazione ha dei risvolti nelle intenzioni non ancora del tutto chiari.
C'è da aggiungere che non è presentato nel Progetto nessun metodo agroecologico o vincolo per un'ecosostenibilità delle coltivazioni, ma solo un accenno a buone pratiche agricole e agricoltura meccanizzata.

Toscana/Consiglio: con 'Banca Terra' demanio a giovani agricoltori

18 Dicembre 2012 - 18:48

(ASCA) - Firenze, 18 dic - Offrire le terre del demanio regionale toscano ai giovani agricoltori. E' l'obiettivo con cui nascono l'ente 'Terre regionali Toscane' e la 'Banca della Terra'. Il via libera e' arrivato dal Consiglio regionale.

'Terre regionali toscane' sara' un ente pubblico non economico dipendente dalla Regione che permettera' di gestire in maniera piu' razionale ed efficace tutto il patrimonio fondiario della Regione Toscana (l'azienda agricola di Alberese, quella di Cesa), il rapporto con il Parco di San Rossore (Pisa) ma anche altre tenute (ad esempio quella di Suvignano, confiscata alla mafia, se sara' attribuita alla Regione). In questo contesto nascera' la 'Banca della Terra', che rappresenta il primo esempio in Europa di strumento pubblico volto a favorire l'accesso degli imprenditori privati, in particolare dei giovani agricoltori, ai terreni agricoli e forestali del demanio regionale. La banca della terra conterra' l'inventario completo di tutti i terreni e aziende agricole di proprieta' pubblica e privata disponibili per operazioni di affitto, concessione e compravendita.

''Sono orgoglioso - ha detto l'assessore all'agricoltura Gianni Salvadori - di questa legge, che e' stata approvata all'unanimita' dal Consiglio Regionale della Toscana e che rappresenta un contributo importante per raggiungere gli obiettivi di dare un'opportunita' di lavoro ai giovani e non solo, garantire il presidio del territorio anche di zone marginali, razionalizzare la gestione dei terreni di proprieta' pubblica e avere una migliore gestione del patrimonio agroforestale, fondamentale per la prevenzione del rischio idrogeologico. Con questa formulazione - ha continuato Salvadori - la legge e' la prima in Europa e ci consentira' di recuperare oltre 100 mila ettari di terreno che negli ultimi 28 anni erano stati abbandonati''.

Banca della Terra

giovedì 13 dicembre 2012

Filiera corta Ogm per il Lazio


Filiera corta Ogm per il Lazio

Secondo l’Arsial, alcuni terreni coltivati a mais nel Lazio sono contaminati da specialità geneticamente modificate e brevettate dai soliti due colossi del settore, Pioneer e Monsanto. Il problema sta nei tagli ai fondi destinati ai controlli.
Ogm? Ci risiamo! A settembre di un anno fa scoppiò una grande polemica nella Regione Lazio perché ben tre aziende che producevano mais furono trovate positive ai controlli anti-doping per le coltivazioni agricole. No, non stiamo parlando del Tour de France, ma della rassicurante campagna romana dove l’Agenzia regionale per l’agricoltura Arsial, però, pescò due aziende agricole che coltivavano mais transgenico Monsanto e Pioneer. La vicenda, oltre alla prevedibile polemica politica, si portò dietro un caoticissimo gioco allo scaricabarile tra aziende agricole e aziende produttrici, che si accusavano reciprocamente di non aver effettuato i controlli necessari a vendere e seminare prodotti Ogm free. A marzo scorso i controlli campione su una delle aziende coinvolte l’avevano trovata ripulita, e dunque si pensava di poter tirare un sospiro di sollievo e brindare alla contaminazione scampata. Ma sembra, al contrario, che ci risiamo.
E’ bastata un’interrogazione del consigliere regionale Luigi Nieri, che ha chiesto di recente all’Assessorato competente di effettuare nuovi controlli in osservanza alla legge vigente per farci tornare a tremare. La normativa della Regione Lazio in materia, infatti, è molto innovativa e stringente. In applicazione del principio di precauzione (stabilito nell’articolo 174 del Trattato della Comunità europea) e a tutela delle proprie risorse genetiche agrarie (L.R. 1 marzo 2000 n. 15 “Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario”) nonché della qualità e originalità della propria produzione agricola, la Regione Lazio ha sancito il divieto di coltivazione e allevamento a qualsiasi titolo di organismi geneticamente modificati su tutto il territorio regionale (L.R. 6 novembre 2006, n. 15 “Disposizioni urgenti in materia di organismi geneticamente modificati”). Le legge regolamenta anche l’emissione deliberata nell’ambiente di Ogm che è consentita esclusivamente per scopi di ricerca ai sensi del D.Lgs. 224/2003, purché in “ambiente chiuso e confinato” espressamente autorizzato e al di fuori di determinate aree sensibili, specificamente quelle più intensamente coltivate per coltivare cibo per la comunità umana.
L’Arsial, dunque, ha svolto nuovi controlli a campione su sollecitazione dell’atto del parlamento regionale, ed è emerso dalla risposta fornita al consigliere dall’assessorato competente (n. 457962/2012), che alcuni terreni coltivati a mais sarebbero risultati contaminati da specialità brevettate dai soliti due colossi del settore, e cioè Pioneer e Monsanto. Si tratta di due varietà ad uso alimentare di provenienza americana e rigorosamente esclusi per la coltivazione nell’Unione europea. Un mais, quello proveniente dalle aziende segnalate, che spesso viene venduto come prodotto tipico del Lazio, senza nessun riferimento alla natura Ogm. La preoccupazione, naturalmente, è data dalla scala del fenomeno: se due aziende su un campione di controlli che riguarda solo l’1% delle aziende agricole del Lazio, sono state trovate positive, ci si chiede con fondata preoccupazione quante altre utilizzino illegalmente Ogm proibiti rischiando di inquinare l’agro pontino in modo significativo.
Il problema sta nei tagli ai fondi destinati ai controlli, accusa l’opposizione alla Pisana, a partire proprio dalle dotazioni di Arsial che, in effetti, rivestirebbe per legge un ruolo cruciale di contrasto ad abusi come quelli di cui vi scriviamo. L’attività di vigilanza e controllo riguarda: l’esclusione dai contributi regionali per quelle aziende che utilizzano mangimi etichettati Ogm per l’alimentazione del bestiame; l’esclusione dai contributi regionali per quelle imprese agricole, agroalimentari o produttrici di mangimi che utilizzano Ogm nel ciclo produttivo; l’esclusione dai marchi di qualità regionali per l’imprese che utilizzano Ogm nella produzione di beni agricoli o alimentari, freschi o trasformati; l’istituzione di un marchio regionale “Prodotto libero da Ogm–Ggm free” al fine di incentivare filiere produttive totalmente esenti da Ogm; che chiunque vende prodotti Ogm deve esporli e conservarli in appositi scomparti, tali da non consentire la loro mescolanza con prodotti privi di Ogm e in modo da permettere al consumatore la loro chiara ed inequivocabile identificazione; che chiunque somministra prodotti Ogm ne deve fornire chiara informazione scritta, in modo da permettere al consumatore la loro chiara ed inequivocabile identificazione; l’obbligo, per chiunque vende sementi o altro materiale di propagazione, di pubblicizzare le prescrizioni e i divieti previsti dalla legislazione vigente in materia di Ogm in agricoltura e di tenere un registro nel quale devono essere annotati i dati sull’acquisto e sulla vendita di sementi o altro materiale di moltiplicazione Ogm; il divieto di somministrare prodotti Ogm nei servizi di ristorazione collettiva degli istituti scolastici e prescolastici, degli ospedali e dei luoghi di cura accreditati, degli uffici della Regione, delle Province e dei Comuni, nonché dei rispettivi enti dipendenti. I gestori dei servizi di ristorazione collettiva, sono tenuti anche ad esporre in modo adeguato le informazioni sulla provenienza degli alimenti considerati.
Sono anni che le multinazionali provano a far entrare prodotti Ogm nei nostri campi, ma dietro una netta spinta popolare sono stati sempre respinti. E a buona ragione, crediamo. Scrive il Censis nel suo 46° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, dopo aver condotto un’indagine su aziende di medie e grandi dimensioni associate a Confagricoltura, che – per quanto noi crediamo che le esportazioni non ci dicano niente della qualità economica e sociale di un territorio – le esportazioni dei prodotti agricoli italiani pesano attualmente per appena l’1,5% del totale della ricchezza nazionale, ma se si considerano i prodotti agricoli trasformati il peso sale al 7%. Nel 2011 le esportazioni agricole sono state pari a 5,7 miliardi di euro e quelle dell’industria della trasformazione dei prodotti primari pari a 24,3 miliardi di euro. Si stima che 1 euro di export dell’agricoltura sia in grado di generare 4 euro aggiuntivi di vendita all’estero di prodotti trasformati. Il Lazio e la Toscana sono tra i campioni di questo settore produttivo a livello Paese, ma sono anche le uniche due regioni italiane a svolgere i controlli anti-Ogm in campo. E anche qui tornano le paure rispetto alle dimensioni complessive del fenomeno: se tutti i territori ne facessero, l’Italia ci sembrerebbe ancora così bio, verde e genuina come speriamo sia, e come le aziende di promozione territoriale e produttiva vendono in giro per il mondo?
Le leggi nazionali, infatti, stabiliscono che il ministero dell’agricoltura effettui controlli a livello di Paese relativi alle sementi. Le ditte semenziere devono munirsi di certificati di esenzione da Ogm. Quanto siano efficaci questi sistemi lo dimostra anche il caso in questione, visto che le sementi utilizzate erano tutte certificate e perfettamente legali, almeno sulla carta. Quello che è certo è che non sono i tagli indiscriminati ai controlli e alle agenzie dedicate a livello di enti locali, fortemente perseguite anche dall’archiviando governo Monti, che ci garantiscono più sicurezza e qualità della vita. Il Lazio insegna.

A proposito di Monsanto: il 2 dicembre si sono svolte grandi manifestazioni di protesta in tutta l’Argentina, un articolo e un video sono qui

mercoledì 12 dicembre 2012

Terra bene comune. Dal land grabbing all'italiana alle strategie di resistenza contadine


venerdi 21 dicembre h 20,00 @ESC_Atelier autogestito - Via dei Volsci 159 - Roma
Terra bene comune. Dal land grabbing all'italiana alle strategie di resistenza contadine

La terra, così come le risorse primarie, i servizi e le conoscenze, è oggi preda di privatizzazione, rapina, appropriazione, dismissione pubblica. A fronte di ciò, si è sviluppato nel tempo un tessuto sempre più fitto di esperienze, pratiche e reti di tutela della terra come bene comune e di riformulazione del concetto di proprietà e di pubblico. 
Approfondiremo come si sta trasformando la produzione agricola in Italia, chi vuole mettere le mani sulla terra e quali processi di resistenza si stanno aprendo.

intervengono: 
Giulia Franchi (Re:common); 
Rete Genuino Clandestino (Terra/terra-Roma, Campiaperti-Bologna, Movimento Terre-Puglia, il Pagliaio-Firenze, ...)

A seguire aperitivocontadino 

il dibattito si svolge nell'ambito di L/ivre - fiera dei vini e dei libri indipendenti. manifestazione dedicata appunto alle produzioni di vignaioli e editori che con il loro appassionato e ostinato lavoro si oppongono alla omogeneizzazione del gusto e della cultura. 

Arrestati undici funzionari del ministero dell’Agricoltura



Arrestati undici funzionari
del ministero dell’Agricoltura



Lucravano sulle campagne
di informazione destinate
ai bambini. Ricevevano tangenti,
regali e favori dagli imprenditori
che volevano aggiudicarsi gli appalti
GRAZIA LONGO
ROMA
Lucravano sulle campagne di informazione destinate ai bambini. Undici persone - tra dirigenti e funzionari del ministero delle Politiche Agricole e imprenditori – sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza con l’accusa di corruzione nell’ambito dell’operazione “Centurione”´. Nome che prende spunto dal soprannome dell’arrestato eccellente, Giuseppe Ambrosio, direttore generale del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in Agricoltura e capo della segreteria del sottosegretario Braga (in passato aveva ricoperto l’incarico di capo del gabinetto dei ministri per l’agricoltura Luca Zaia e Giancarlo Galan). Nel complesso gli indagati sono 37, e 11 le ordinanze di custodia cautelare. In carcere sono finiti Giuseppe Ambrosio; sua moglie Stefania Ricciardi, dirigente dell’Ufficio per la promozione della qualità agroalimentare; Francesco Saverio Abate, direttore generale della Pesca marittima e dell’acquacoltura; Ludovico Gay, dirigente pubblico già direttore di Buonitalia Spa; ALfredo Bernardini, dirigente della Confederazione italiana agricoltori; Michele Mariani, impiegato presso il ministero delle Politiche agricole. Ai domiciliari, invece, Luca Gaudiano, funzionario del ministero; Riccardo Deserti, direttore del Consorzio Parmigiano Reggiano; gli imprenditori Claudia Maria Golinelli, Luigi Cardona e Oliviero Sorbini. 

L’ipotesi di reato corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, di turbata libertà degli incanti e di turbata libertà nella scelta del contraente. Per le stesse ipotesi di reato sono indagate in tutto 37 persone, di cui 13 sono dirigenti e funzionari pubblici. In sostanza dirigenti e funzionari del ministero, Ambrosio in testa, ricevevano tangenti, regali e favori dagli imprenditori che volevano aggiudicarsi appalti (anche con finanziamenti europei) per campagne di sensibilizzazione sull’alimentazione nelle scuole. Tra quelle più note: “Food4U”, ( 3 milioni e 780 mila euro) e “Frutta nelle scuole”, finalizzato ad aumentare il consumo di frutta e verdura da parte dei bambini e ad attuare iniziative che supportino più corrette abitudini alimentari (oltre 13 milioni di euro). Altri contributi pubblici sono invece serviti per finanziare iniziative quali “La Giornata Nazionale dell’Agricoltura” (154.800 euro) e “L’Asta Internazionale del Tartufo” ( 263.210 euro).  

Sono 32 milioni in tutto i soldi erogati con irregolarità, tanto che il procuratore aggiunto di Roma stigmatizza “il grave inquinamento della spesa pubblica con atti di corruzione”. Contestualmente il nucleo tributario della Guardia di Finanza, agli ordini del colonnello Cosimo Del Giudice, ha sequestrato preventivamente beni (case, terreni, auto e moto) per un valore di oltre 22 milioni. Dall’inchiesta è emerso un diffuso sistema corruttivo radicato nell’ambito del Ministero, ma sono esclusi – per ora – coinvolgimenti a livello politico. politici. Per Ambrosio l’accusa non è soltanto quella di avere favorito, dietro compenso, alcuni imprenditori ma anche di avere cooperato alla concessione di contributi pubblici in favore del Comune di Maratea e di Todi, rispettivamente per 63.500 e 125mila euro, ricevendo in cambio l’omessa vigilanza edilizia su alcune opere realizzate abusivamente nelle ville di proprietà. Ville per la cui realizzazione, secondo la ricostruzione degli inquirenti, il funzionario ha impiegato risorse per circa 1,27 milioni di euro “non coerenti con il suo tenore di vita”. Il gip romano Flavia Costantini ha accolto la richiesta del pm Stefano Fava ordinando 5 arresti ai domiciliari e 6 (tra cui Ambrosio) in carcere. Ambrosio peraltro è già stato rinviato a giudizio per aver favorito l’assunzione al ministero, con il livello di dirigente, la moglie Stefania Ricciardi. La quale peraltro aveva esibito un’autocertificazione di laurea conseguita presso la Link Campus University of Malta. Università sconosciuta, tant’è che la Procura di Roma dopo aver indagato, contesta che “attestava falsamente di aver conseguito in epoca e luogo imprecisati – il diploma di laurea – presso la Link Campus University of Malta, all’epoca non riconosciuta in Italia”.  

Sugli 11 arresti è intervenuto anche l’attuale ministro alle politiche agricole, Mario Catania: “’Ho piena consapevolezza di quanto sia importante dare sostegno all’attività della magistratura, nella quale peraltro ho totale fiducia attendendo di conoscere gli ulteriori sviluppi e mantenendo comunque il pieno rispetto sugli indagati finché non ci sarà la pronuncia di merito. Questa situazione rischia di macchiare l’immagine del ministero, mentre è importante per me che ciò non avvenga e tengo a precisare che i fatti in oggetto riguardano il periodo dal 2007 al maggio 2011, e sono inoltre fatti che ruotano attorno a un singolo settore, quello della comunicazione istituzionale e promozione del ministero, area in cui dal mio insediamento come ministro ho peraltro voluto praticare un radicale ridimensionamento di spesa”. Catania, prima di ricevere l’incarico dal premier Monti, lavorava già al ministero, “ma in un altro settore da quello di Ambrosio, che peraltro come capo di gabinetto rivestiva un ruolo superiore al mio”. 




Scandalo Mipaaf: troppi soldi


in mano alla burocrazia


di Michele Corti

Il sottobosco della "promozione di stato" all'agroalimentare, delle campagne milionarie che producono solo opuscoli che restano a marcire nelle cantine degli enti, delle agenzie mangiasoldi, dei faccendieri è in subbuglio. Dove arriverà l'inchiesta? Ci sono solo dei "mariuoli" o è tutto un sistema di sperpero istituzionalizzato che deve essere messo sul banco degli accusati? L'inchiesta si allargherà a vicende come Buonitalia?

I "mercati" e qualche cancelleria piangono la fine del "governo dei tecnici". Forse loro avranno dei buoni motivi per farlo. In Italia le cose appaiono in una luce diversa. Il governo dei tecnici era anche il governo dei ministeriali, dei grand commis dell'apparato centrale dello stato che ha imposto un torchio fiscale devastante, che ha puntato il dito contro gli sperperi di regioni e di provincie (che si sono eccome) più che altro per distogliere l'attenzione da quelli dell'amministrazione centrale dello stato con la scoperta finalità di arrivare ad un nuovo accentramento: un rinnovato centralismo romano, fedele cane da guardia del super-stato europeo e delle "istituzioni finanziarie" europee e mondiali.
Per perseguire questo disegno (con l'aiuto della grande stampa) si è mandata platealmente la GdF nei consigli regionali, si è gonfiato all'inverosimile il "caso Fiorito" e altre squallide storie di ladri di polli.

Un ministero che non doveva più esistere

Ora tutto il castello di carta costruito dai "tecnici" - già minato per le inchieste sugli appalti truccati al Ministero dell'Interno, cade miseramente con la GdF che arriva al Ministero dell'agricoltura (Mipaaf), un ministero che è il simbolo del centralismo duro a morire. Era il 1993 quando 37 milioni di italiano votarono al 77% per l'abrogazione di un Ministero che non aveva più senso considerato il trasferimento delle competenze alle regioni e che le funzioni di coordinamento e di rappresentanza in sede europea avrebbero potuto benissimo essere assolte da un sottosegretariato presso la presidenza del consiglio dei ministri. In spregio a quel poco di democrazia, concessa saltuariamente ai sudditi della Repubblica fondata sulla burocrazia, il Ministero risorse subito dalle sue ceneri come l'araba fenice, solo con un nome diverso (poi nel tempo ancora cambiato). Oggi a guidare (ancora per poco) il  ministero di Via XX Settembre (che non ha neppure cambiato sede e non si è neppure ridimensionato) c'è un "tecnico": Mario Catania. Tanto per capire chi sono i "tecnici" di Monti basti dire che Catania è entrato al Ministero vincendo un concorso da dirigente due anni dopo la laurea. E lì è rimasto, salvo una parentesi a Bruxelles.


Catania, prima di andarsene, si è trovato coinvolto in un gravissimo scandalo che ha sollevato il velo su un sistema di corruzione all'interno del ministero. "Un vero giro del malaffare, un piccolo trattato di sociologia della corruzione" lo ha definito il procuratore aggiunto di Roma, Nello Rossi. L'inchiesta di Rossi e del pm Stefano Rocco Fava è scattata a seguito di un esposto anonimo del 2011 (stesso meccanismo per lo scandalo appalti al Ministero dell'Interno). Nell'ordinanza di oltre 240 pagine firmata dal gip Flavia Costantini, sono numerosi i capi di imputazione contestati agli indagati nell'ambito dell'inchiesta che ha riguardato diversi settori amministrativi del ministero delle Politiche agricole. L'operazione della Guardia di Finanza è stata denominata "Centurione" (dal soprannome di Ambrosio).. Complessivamente sono 11 i provvedimenti di custodia cautelare (sei in carcere e cinque ai domiciliari) emessi dalla procura di Roma nei confronti degli indagati, che in totale sarebbero 37, tra cui 13 dirigenti e funzionari pubblici.


Il ministro si preoccipa della "macchia"

Catania  si è affrettato a prendere le distanze e a difendere il Ministero:

"Non è l'intera attività del Ministero sotto osservazione, ma l'attività di comunicazione istituzionale e di promozione che ha un tasso di discrezionalità che non me l'ha mai resa particolarmente simpatica". In ogni caso: "E' importante che non venga macchiata l'immagine del Ministero: parliamo di atti che riguardano un periodo che va dal 2007 al maggio 2011 e la collocazione cronologica è importante"

Poverino, che fatica. Non è tutto il ministero sotto torchio ma ... quasi: “Quasi tutte le attività del ministero delle politiche agricole sono state inquinate da una corruzione diffusa e variegata”. Lo ha detto il procuratore aggiunto  Rossi, in conferenza. Catania, poi, in evidente difficoltò, ha tenuto a precisare che non è stato lui a promuovere Giuseppe Ambrosio, il cervello del "sistema" corruttivo,  a direttore del CRA (Centro ricerche in agricoltura) anche se in modo molto ambiguo e conradditorio ammette di averne "agevolato" l'uscita dal Ministero (verso una struttura da essp dipendente e con una carica di grande peso). Ma gli imbarazzati e maldestri tentativi di Catania di minimizzare e circoscrivere il malaffare nel suo ministero si scontrano anche con le asserzioni del Gip Costantini. La Costantini non si è limitata a chiarite il carattere sistematico della corruzione:
"i pubblici ufficiali, anche se non direttamente competenti alla adozione degli atti amministrativi, contattano o vengono contattati dai privati beneficiari al fine di concordare, da un lato, la sovvenzione di denaro pubblico da elargire e dall'altro il compenso corruttivo da corrispondere; emerge evidente la sistematicità e ripetitività delle condotte nonchè la circolarità dei vantaggi corruttivi corrisposti ai pubblici ufficiali interessati da una futuribile ma certa turnazione nella percezione dei compensi".
Il Gip, infatti, ha collocato la vicenda sullo sfondo politico di un Ministero "in cerca di ruolo" e sempre con troppi soldi da gestire in proporzione alle funzioni:
"il Mipaaf dicastero che nonostante la crisi finanziaria dello Stato, riesce a reperire risorse per finanziare progetti di dubbia utilità per la Comunità ma di ingente impegno economico e di sicuro tornaconto per i funzionari corrotti".
Ambrosio, "er centurione"
Povero Braga
Quanto a Braga, il sottosgretario che ha nominato "il centurione" a capo della sua segreteria, ha dichiarato disarmante:
"Il 3 dicembre 2011 ho prestato giuramento e, non avendo esperienza di governo, ho chiesto di una persona che ne avesse e mi potesse affiancare. Mi è stato risposto che Ambrosio aveva svolto il ruolo di capo di gabinetto dei ministri Galan e Zaia. Lui accolse l'ipotesi di entrare nella mia segreteria con entusiasmo e ha sempre svolto questo ruolo con correttezza".
Ma torniamo a Catania. Il Ministro oltre alle banalità ("Non c'era sentore di nulla, se ci fosse stato avrei preso provvedimenti”) ha anche voluto dar sfoggio di zelo:

“Quei fondi che sono stati oggetto, forse, di malversazione, nel passato, perche’ si tratta di fatti che si riferiscono ad anni decorsi, li avevo totalmente azzerati e soppressi dal bilancio del ministero proprio perche’, essendo linee di spesa che hanno un tasso molto elevato di discrezionalita’, a mio parere e’ meglio che non siano nelle mani della Pa”.

Ne siamo sicuri? Tra le inziative incriminate ve ne sono alcune che continuano (es. "Marinando" www.marinando.info, "Food 4U" www.food-4u.it, Frutta nelle scuole"www.fruttanellescuole.gov.it.). Si tratta di azioni previste da regolamenti comunitari o inserite in progetti gestiti direttamente da Bruxelles. Come interpretare le parole del ministro che sostiene di avere azzerato tutte le campagne interessate alla malversazione?
Un ministero che deve giustificare la sua esistenza, per giustificare una struttura elefantiaca (la sede di Via XX Settembre è un immenso palazzo con corridoi interminabili) finisce per inventrarsi cose inutili da fare. E le cose inutili, non essendoci soggetti realmente interessati a verificare l'efficacia e l'efficienza delle azioni svolte, sono quelle che si prestano alle spese gonfiate, alle "creste", agli affidamenti discrezionali ai soggetti amici (o in grando di garantire un "ritorno" ai burocrati).

Buonitalia e Consorzi (se non corruzione di certo malcostume e sperpero)

In ogni caso nello scandalo entrano direttamente o indirettamente diverse realtà del "sistema promozione agroalimentare". Oltre ad Ambrosio vi sono stati altri dieci arresti tra imprenditori, dirigenti e funzionari del Ministero dell'agricoltura tra cui Riccardo Deserti, direttore del Consorzio Parmigiano Reggiano, Ludovico Gay, già direttore generale di 'Buonitalia Spa' (società pubblica) e Alfredo Bernardini, dirigente della Confederazione italiana agricoltori. Forse non ha nulla a che fare con le responsabilità del suo ex-direttore. Ma l'esistenza stessa di Buonitalia è uno scandalo. La società (partecipata al 70% dal Mipaaf) ha accumulato, tra il 2008 e il 2010, 20 milioni di euro mentre nello stesso periodo ne riceveva dallo stato ben 50 impiegati per eventi effimeri (kermesse e spettacoli vari in Europa) con il solito pretesto di promuovere la "dieta mediterranea" e i prodotti Dop.
Di questa promozione istituzionale in realtà i soggetti beneficiari sono gli apparati dei Consorzi delle maggiori Dop (che ora, però si trovano anche con in mano dei crediti di difficile riscossione). Scandalo nello scandalo al liquidatore di Buonitalia, Alberto Stagno D’Alcontres, sono state riconosciute due retribuzioni da 159mila euro e 400mila euro annui. Il direttore del Consorzio del Parmigiano reggiano è accusato di fatti risalenti a quando era al Ministero e ogni illazione che coinvolga il Consorzio è per ora priva di fondamento ma tra le pieghe dell'inchiesta appaiono altri personaggi del mondo caseario e della comunicazione e promozione casearia.


Sottobosco

In una intercettazione l'assistente amministrativo del ministero delle politiche agricole finito in manette, Mariani, suggerisce a Gerardo Beneyton di motivare la richiesta di finanziamento da inoltrare al ministero "'vabbè, dai concentrati trova un po' di materiale e ce scrivi un po di stronzate dai". In cambio Mariani ha ricevuto "una imprecisata utilità consistita in 'roba' spedita a casa".
Beneyton, valdostano, è il presidente dell'associazione Caseus montanus che organizza vari eventi tipo Grolle d'oro e le Olimpiadi del formaggio di montagna, un evento dove i formaggi artigianali autentici sono lì per dare credibilità ad un meccanismo che serve a "medagliare" formaggi industriali. Beneyton vanta l'amicizia ' personale del monistro Catania (insieme nella foto sotto). Ma forse oggi Catania direbbe di non conoscerlo.

martedì 11 dicembre 2012

Agromafia e caporalato, il primo rapporto sull'Italia


La ricerca dell'Osservatorio Placido Rizzotto presentata dalla Flai Cgil, il sindacato del settore agroalimentare. L'illegalità è in continua espansione. 400mila persone vittime del caporalato. 27 clan nel business dell'agro- ed ecomafia
Agromafia e caporalato, il primo rapporto sull'Italia
Illegalità e caporalato nel settore agricolo sono in continua espansione. Da Nord a Sud. Agrumi, angurie, pomodori sono le principali colture “seguite” dalla criminalità organizzata, ma sono sempre più numerose le segnalazioni relative all'export di qualità (come nel caso del settore vitivinicolo), alla macellazione clandestina e agli appalti sospetti relativi ai servizi. Mentre la crisi ha aggravato ulteriormente le condizioni di migliaia di lavoratori impiegati nelle stagionalità di raccolta. È quanto si evince dal Primo rapporto su caporalato e agromafie presentato oggi a Roma dalla Flai Cgil (il sindacato del settore) e curato dall’Osservatorio Placido Rizzotto.

L'osservatorio ha promosso in questi mesi un'indagine sui territori, con l'obiettivo di fare una fotografia delle principali forme di illegalità e di sfruttamento nel settore agroalimentare. Attraverso testimonianze dirette e interviste agli operatori coinvolti, il rapporto ha voluto anche raccontare come il caporalato è cambiato in questi anni, diventando un ambito di interesse per la criminalità organizzata.

GUARDA LE MAPPE

La ricerca ha coinvolto 14 Regioni e 65 province con l'obiettivo di tracciare i flussi stagionali di manodopera e gli epicentri delle aree a rischio caporalato e sfruttamento lavorativo. Censiti oltre 80 epicentri di rischio, di cui 36 ad alto tasso di sfruttamento lavorativo, da nord a sud. Il caporalato è diffuso su tutto il territorio nazionale: oltre alle Regioni del Sud Italia (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), forte l'esplosione del fenomeno al Centro-Nord, in particolare: in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Lazio. Sempre di più il caporalato si associa ad altre forme di reato, come ad esempio gravi sofisticazioni alimentari, truffa e inganno per salari non pagati, contratti di lavoro inevasi, sottrazione e furto dei documenti, gestione della tratta interna e esterna dei flussi di manodopera, riduzione in schiavitù e forme di sfruttamento lesive persino dei più elementari diritti umani.

Il caporalato
Se è vero, come ci dicono i dati Istat, che in agricoltura il sommerso occupazione nel caso dei lavoratori dipendenti è pari al 43%, non è difficile immaginare che sia proprio questo l'enorme serbatoio di riferimento per i caporali. Un esercito di circa 400.000 persone in tutta Italia, di cui circa 100.000 (prevalentemente stranieri) costrette a subire forme di ricatto lavorativo e a vivere in condizioni fatiscenti. Il caporalato in agricoltura, dunque, ha costo per le casse dello Stato in termini di evasione contributiva non inferiore a 420 milioni di euro l'anno. Per non parlare della quota di reddito (circa -50% della retribuzione prevista dai contratti nazionali e provinciali di settore) sottratta dai caporali ai lavoratori, che mediamente percepiscono un salario giornaliero che si attesta tra i 25 euro e i 30 euro, per una media di 10-12 ore di lavoro. I caporali, però, impongono anche le proprie tasse giornaliere ai lavoratori: 5 euro per il trasporto, 3,5 euro per il panino e 1,5 euro per ogni bottiglia d'acqua consumata.

Nelle mappe elaborate si possono trovare nel dettaglio: gli epicentri di rischio dove sono stati riscontrati casi di lavoro indecente o gravemente sfruttato, i flussi interregionali e transnazionali dei lavoratori protagonisti della transumanza stagionale che coinvolge migliaia tra uomini e donne, le principali nazionalità impegnate nelle raccolte stagionali. All'interno del rapporto, inoltre, è possibile consultare il dettaglio delle schede per ogni singola regione coinvolta dall'indagine, con relativi dettagli sul numero di operatori, i reati più diffusi e le analisi delle condizioni di lavoro per ogni singolo distretto produttivo.

Le agromafie
L’Osservatorio ha preferito perseguire un campo di ricerca qualitativo, chiedendo agli operatori coinvolti (magistrati, giornalisti, lavoratori, sindacalisti, esponenti delle forze dell'ordine e della società civile) di incrociare dati, esperienze, buone e cattive pratiche. Dai contributi contenuti nel rapporto emerge una fotografia allarmante, in particolare sempre più forte sembra il rinnovato legame tra il crimine di stampo mafioso e un pezzo molto rilevante dell'economia del settore primario del nostro paese. Sono le agromafie, nonché l'illegalità diffusa in una vasta zona grigia, che in questi anni ha scaricato sui lavoratori i costi del malaffare.
Quanto alle principali attività illecite delle mafie in relazione al settore agroalimentare, sono: estorsioni, usura a danno degli imprenditori, furti, sofisticazioni alimentari, infiltrazione nella gestione dei consorzi per condizionare il mercato e falsare la concorrenza. La contraffazione alimentare è aumentata del 128% negli ultimi dieci anni, un giro d'affari di circa 60 miliardi quello legato al fenomeno dei prodotti definiti Italian sounding e alla speculazione dell'Italian branding. Sono 27 i clan che si occupano attivamente di business legati alle ecomafie, alle agromafie e al consumo del territorio dovuto all'abusivismo edilizio e sversamento illegale dei rifiuti. Un giro d’affari, quelle delle agromafie dunque, che secondo operatori istituzionali e della società civile si aggira tra i 12 e i 17 miliardi di euro l'anno, circa il 10% dei guadagni della criminalità mafiosa, così come quantificato dalla Commissione Antimafia.

Il rapporto affornta anche i dati delle aziende confiscate nel settore agricolo (8%). Dati che potrebbero ingannare, visto che i beni di maggiore valore sottratti alla criminalità sono proprio le aziende del settore agroalimentare. Dall'inizio del 2008 il numero dei beni aziendali confiscati alla criminalità è aumentato del 65%, un boom che testimonia la fragilità del nostro sistema economico. Ad oggi, solo il 4% di queste aziende riesce a emergere dall'illegalità e dare una risposta alla domanda di lavoro e sviluppo su territori fortemente condizionati dalla presenza mafiosa. Secondo le recenti stime dell'Ufficio Legalità della Cgil, sono circa 80.000 i lavoratori licenziati dopo un provvedimento di confisca definitiva. Dal rapporto, quindi, esce rafforzata l'idea della Cgil di promuovere una legge d'iniziativa popolare per tutelare i lavoratori delle aziende confiscate, nonché favorire un percorso di emersione alla legalità di queste aziende, per porle alla base di una strategia di rilancio di lavoro e sviluppo come antidoto a tutte le mafie.

Nel rapporto è possibile leggere contributi di:
Jean Renè Bilongo Flai Nazionale, Anna Canepa Magistrato, Direzione Nazionale Antimafia, Francesco Carchedi Sociologo, Giancarlo Caselli, Procuratore capo della Repubblica di Torino Donato Ceglie Magistrato, Procura di Napoli, Stefania Crogi segr. Gen. Flai Cgil, Massimiliano D'Alessio, ricercatore Fondazione Metes Maurizio De Lucia Magistrato, Direzione Nazionale Antimafia, Roberto Iovino Flai Nazionale, Alessandro Leogrande Giornalista e Scrittore, Vincenzo Liarda Flai Sicilia, Cinzia Massa Flai Campania, Dino Paternostro Cgil Corleone, Giuseppe Ruggiero giornalista e scrittore, Yvan Sagnet Flai Nazionale, Serena Sorrentino segr. Confederale Cgil, Giuseppe Vadalà Corpo Forestale dello Stato. 

venerdì 7 dicembre 2012

Accesso alla terra e proprietà terriera


“FOOD SOVEREIGNTY MEETING ON LAND ISSUES”
(ACCESS TO LAND AND LAND TENURE)

“INCONTRO SOVRANITA' ALIMENTARE SUI TEMI DELLA TERRA”
(ACCESSO ALLA TERRA E PROPRIETA' TERRIERA)

Forum Sociale Europeo, Firenze 10+10
8-10 novembre 2012

Promosso da Nyeleni Europe Movelemt for Food Sovereignty European Coordination Via Campesina Associazione Italiana per l'Agricoltura Biologica Cospe Manitese


TEMI di discussione proposti:

1)      Land grabbing (“accaparramento” delle terre): casi ed esperienze di resistenza in Europa

2)      Accesso alla terra: esperienze positive di come la terra possa diventare una risposta alla crisi in atto

3)      Politica europea sull’accesso alla terra (in relazione anche alle “linee guida volontarie sulla gestione responsabile della terra, delle foreste e della pesca...”)

Il Cospe ha introdotto il tema della sovranità alimentare, come diritto al cibo e insieme di pratiche, che è diverso dalla “sicurezza alimentare” di cui si parla nei vari documenti internazionali.

E’ stato poi ricordato l'incontro di Krems di un anno fa del Forum di Nyeleni, forum Europeo per la Sovranità Alimentare dell’agosto 2011, per la dichiarazione e le proposte di azione che ne sono emerse vedi http://www.nyelenieurope.net


1) LAND GRABBING
Si sono susseguiti i racconti di casi di land grabbing in Europa:

- In Serbia, dove, dopo la guerra, è iniziato un processo di privatizzazione che sta portando alla vendita, a prezzi molto bassi, di terre che prima erano assegnate alle varie famiglie.
- In Romania, dove stanno arrivando ricchi investitori stranieri per impiantare coltivazioni a scala industriale, che stanno distruggendo la biodiversità e indebolendo sempre più le comunità rurali.
- In Bulgaria, dove il controllo della terra si sta concentrando in pochi gruppi imprenditoriali, molti cinesi, che non creano posti di lavoro per i locali, e usano le terre anche per avviare attività diverse da quella agricola (usi turistici, minerari, etc)
- In Norvegia, invece, dove si sta assistendo a una progressiva riduzione delle terre destinate all’agricoltura per abbandono da parte dei giovani che preferiscono altri lavori più redditizi del lavoro contadino, così le terre vengono vendute a pochi grandi proprietari. L’assurdità è che intanto lo Stato norvegese sta investendo nell’acquisto di terre nei paesi del sud del mondo, e importa sempre più prodotti alimentari dall’estero, invece di incentivare l’agricoltura nel proprio paese.
Inoltre, vi è una forma di appropriazione di pezzi di mare per un sovrasfruttamento delle risorse ittiche destinate ad alimentare i grandi pesci degli allevamenti.
Infine, in tutta la Scandinavia si sta prospettando un problema di land grabbing per impiantare grandi monocolture per la produzione di legname.
In Italia, è stato riportato il caso della pianura friulana, dove alcuni gruppi industriali locali in crisi si stanno buttando nell’acquisto delle terre agricole, assieme a gruppi di cinesi. Così si stanno ricreando grandi proprietà che vengono affidate in gestione a terzisti, i quali si indebitano con le banche per potere acquistare i grandi macchinari necessari per la coltivazione di questi grandi appezzamenti, formando così una classe di nuovi “schiavi”. Questo porta alla perdita di identità, di cultura e tradizione, di biodiversità.
Dall’altro lato invece nelle montagne friulane esistono ancora tantissimi usi civici, che non sono però presi in cura dalle comunità locali, se non qualche raro e virtuoso caso, che andrebbe studiato e fatto conoscere (vedi Pesariis).


2) ACCESSO ALLA TERRA
Terre de Liens ha contestualizzato la loro esperienza (risparmio solidale per acquisto di terre che affittano ad agricoltori biologici) nel discorso della sovranità alimentare: l'agricoltura ecologica e contadina come strumento per la tutela del territorio e per la produzione di cibo.
Grazie al loro operato si sono create occasioni concrete di sostegno da parte di realtà della società civile (TdL è nata dalla rete AMAP, simile ai nostri GAS e alle esperienze di Agricoltura Supportata dalla Comunità, dalla Confederation Paysanne, da associazioni per l'educazione popolare), come strumento per supportare e favorire la piccola agricoltura contadina biologica e creare legami sul territorio. L'acquisto collettivo è anche un'occasione per una gestione condivisa del territorio agricolo, da parte delle comunità locali, che si attivano tramite le associazioni regionali, facendo sensibilizzazione e creando reti, cultura, socialità.
TdL fa parte di una rete europea dove sono presenti realtà di vari paesi (Italia, Regno Unito, Spagna, Lituania, Belgio, ecc. - per l'Italia Aiab Lazio, Campiaperti/Genuino Clandestino, Sefea/Banca Etica). Questo percorso di rete può favorire scambi e attività anche sui temi della sovranità alimentare e dell'accesso alla terra.

CampiAperti ha presentato un progetto in corso di avviamento, simile a quello di Terre de Liens ma per ora a base locale (Bologna e Provincia), con l'ipotesi di creare una cooperativa e studiare un modello che poi possa essere replicato/adattato dalle altre realtà italiane che lo vorranno.
Si è riferito della campagna Terra Bene Comune che era nata in occasione della proposta interna alla “manovra Monti” di svendita dei terreni demaniali. Genuino Clandestino, rete di resistenze contadine, ha lanciato la campagna Terra Bene Comune perché i terreni demaniali rimangano di proprietà pubblica e  vengano affidati a chi vuole coltivarli. Ora il piano di svendita sembra essere in sospeso, tuttavia si propone di rilanciare questa campagna e in generale la rivendicazione da parte dei movimenti contadini per utilizzare le terre di proprietà collettiva, come opportunità di sopravvivenza e di reddito.
Genuino Clandestino: si è citato il prossimo incontro di aprile che sarà in Val di Susa.



3) POLITICA EUROPEA

I limiti:
-         Sono volontarie e non obbligatorie per gli Stati
-         E’ stata esclusa la possibilità di inserire anche la questione delle risorse idriche
-         E’ stato accettato il trasferimento dei diritti, anche su larga scala, di fatto favorendo il land grabbing
-         Non è compresa la restituzione delle terre alle popolazioni indigene, né alle popolazioni in caso di rientro dopo conflitti e guerre
-         Viene di fatto accettato il meccanismo del mercato globale nella redistribuzione delle terre

Cosa stabiliscono di utile:
-         Stabiliscono un approccio sostenibile e il principio di partecipazione e consultazione democratiche
-         Riconosce i diritti di coloro che lottano per la difesa delle terre
-         Riconoscono alcuni diritti delle popolazioni indigene (anche se insufficiente) e delle donne
-         Riconoscono i beni comuni, prevedendo una garanzia di 10 anni per la loro protezione
-         Proteggono le popolazioni locali

Sarebbe però importante che tutti noi conoscessimo queste Linee guida, quindi l’invito è a studiarle e a diffonderle presso le proprie reti. Visto che sono volontarie è necessario che le popolazioni locali si attivino perché i governi si impegnino a recepirle e attuarle.


CONCLUSIONI


-         Entrare nel network di Nyeleni (mailing list già attiva) per continuare a scambiarsi esperienze e proposte di resistenza al land grabbing

-         Proposta di unire il Movimento europeo per l’acqua con i movimenti contadini (proposta avanzata e accettata anche dall’Assemblea europea per l’acqua del giorno precedente)

-         Rafforzare la rete europea sull’accesso alla terra, sia come strumento di comunicazione, sia di azione e sostegno alle vertenze locali e nazionali (es. vendita terre agricole demaniali in Italia)

-         Diffusione delle linee guida volontarie e lavoro di pressione sulle politiche europee per la sovranità alimentare

-         Appuntamento 17 aprile 2013, giornata internazionale dei contadini





giovedì 6 dicembre 2012

Convegno "La Nuova Agricoltura ecologica Nell'Economia solidale - Senigallia 10-11 Novembre 2012 -


Superare la crisi di civiltà a partire dalla produzione del cibo.

Superare la crisi di democrazia costruendo dal basso la nuova economia e società.
Unire i movimenti dell'Agricoltura ecologica e dell'Economia solidale

Qui il link a cui trovare i documenti interessantissimi del Convegno:
ATTI del Convegno "La Nuova Agricoltura ecologica Nell'Economia solidale - Senigallia 10-11 Novembre 2012

in particolare:
Proposta di legge Agricoltura Contadina in corso per Regione Piemonte e Marche

La Carta di Montebelluna (OGM)

L'agricoltura come fonte di nuovi impulsi e modelli economici e sociali
http://web.resmarche.it/resmarche/docs/454.pdf

lunedì 3 dicembre 2012

La nuova geopolitica della scarsita' alimentare


dal capitolo 10 di "9 miliardi di posti a tavola" di Lester Brown Edizioni Ambiente

LA CORSA GLOBALE AI TERRENI AGRICOLI
Tra il 2007 e la metà del 2008 i prezzi mondiali di cereali e soia sono più che raddoppiati. Con i prezzi del cibo che salivano in ogni parte del mondo, alcune nazioni esportatrici cominciarono a ridurre le spedizioni di cereali nel tentativo di limitare al proprio interno l’inflazione dei prezzi dei generi alimentari. Il panico si diffuse tra i paesi importatori e alcuni di essi provarono a ottenere forniture cerealicole a lungo termine ma, nell’ambito di un mercato le cui regole sono dettate dai venditori, i successi furono scarsi. Tutto d’un tratto le nazioni importatrici si resero conto che una delle possibilità per produrre il cibo per soddisfare il proprio fabbisogno risiedeva nel reperire terreni agricoli all’estero.
Andare alla ricerca di territori oltre frontiera non è un fenomeno del tutto nuovo. Gli imperi si sono espansi con le acquisizioni territoriali, le potenze coloniali gestivano le piantagioni e le industrie dell’agribusiness è in questo modo che tentano di incrementare le loro potenzialità. L’analista di politiche agricole, Derek Byerlee, ha condotto un’analisi retroattiva che parte dalla metà del secolo 19°, esaminando gli investimenti in terre straniere spinti dal mercato. Negli ultimi 150 anni, gli investimenti agricoli su vasta scala da parte dei paesi industriali si sono concentrati principalmente su prodotti tropicali come la canna da zucchero, il tè, la gomma naturale e le banane.
Ciò che oggi rappresenta una novità è la corsa ad accaparrarsi terre all’estero per coltivare alimenti di base o da destinare al nutrimento animale, tra cui il frumento, il riso, il mais e la soia o per coltivazioni dalle quali produrre biocarburanti. Queste acquisizioni territoriali degli ultimi anni, o land grabs(sottrazioni territoriali) come sono state qualche volta definite, rappresentano un fenomeno nuovo all’interno della geopolitica della scarsità alimentare e si stanno verificando a una scala e un ritmo mai visto prima.
Tra i paesi che sono principalmente responsabili nel comprare o prendere in affitto territori all’estero, sia direttamente attraverso istituzioni governative sia per mezzo di aziende dell’agribusiness nazionali, troviamo l’Arabia Saudita, la Corea del Sud, la Cina e l’India. La popolazione dell’Arabia Saudita ha semplicemente esaurito i propri terreni e le risorse idriche, sta rapidamente perdendo le riserve di acqua a uso irriguo e presto dipenderà completamente per le forniture cerealicole dagli acquisti sul mercato mondiale, o da progetti agricoli oltre frontiera.
La Corea del Sud, che importa il 70% dei cereali, è il maggiore investitore in terre all’estero. Nel tentativo di acquistare entro il 2018 oltre 380.000 ettari di terreno agricolo da destinare alla produzione di mais, frumento e soia, il governo coreano a quanto pare aiuterà le aziende nazionali a prendere in affitto terreni coltivabili in paesi come la Cambogia, l’Indonesia e l’Ucraina.
La Cina, che si trova a dover fronteggiare l’esaurimento degli acquiferi e una pesante perdita di superficie coltivabile a causa dell’urbanizzazione e dello sviluppo industriale, mostra anch’essa segni di nervosismo circa il futuro dei propri approvvigionamenti alimentari. Sebbene per i cereali si sia resa essenzialmente autosufficiente dal 1995 in poi, durante gli ultimi anni, ne è diventata un grande importatore. Per quanto riguarda la soia, ne importa più di tutti gli altri paesi sommati insieme.
Anche l’India, con una popolazione da nutrire numerosa e per giunta in aumento, è diventata un importante soggetto nelle acquisizioni territoriali. Con i pozzi irrigui che si vanno prosciugando, il previsto incremento di 450 milioni di persone entro la metà del secolo e con la prospettiva di una crescente instabilità climatica, l’India è realmente preoccupata circa la propria sicurezza alimentare futura.
Tra le altre nazioni che hanno intenzioni di assicurarsi territori all’estero troviamo l’Egitto, la Libia, il Bahrain, il Quatar e gli Emirati Arabi Uniti. Per esempio, all’inizio del 2012, la Al Ghurair Foods, un’azienda con sede negli Emirati Arabi, ha annunciato che avrebbe preso in affitto per 99 anni oltre 100.000 ettari di terra in Sudan sui quali coltivare frumento, altre tipologie di cereali e soia. Il progetto prevede che i raccolti ottenuti saranno trasferiti negli Emirati e in altre nazioni che si affacciano sul Golfo Persico. È difficile reperire informazioni dettagliate sul fenomeno dilagante dell’accaparramento territoriale. Forse a causa della natura politicamente delicata delle sottrazioni territoriali, è molto arduo separare le voci di corridoio dalla realtà. Al principio, la frequenza crescente di report su nuovi contratti sembrava indicare che il fenomeno stesse montando, ma nessuno si preoccupava di aggregare e verificare i dati in arrivo relativi a questo importante sviluppo dell’economia agricola. Molti gruppi facevano affidamento sul Grain, una piccola organizzazione non governativa con un budget ristretto, e la sua lista di notizie sulle sottrazioni territoriali. Un report iniziale della Banca Mondiale, rilasciato dapprima nel settembre 2010 e poi aggiornato nel gennaio 2011, ha impiegato la lista disponibile online stilata da Grain per aggregare le informazioni relative al fenomeno, sottolineando che quello di Grain era l’unico tentativo di analisi che avesse un orizzonte globale.
Nel suo report la Banca Mondiale ha identificato 464 acquisizioni territoriali che erano a vari livelli di sviluppo nell’arco di tempo che va dall’ottobre 2008 all’agosto 2009. L’analisi afferma che la produzione agricola si era avviata solo in un quinto dei progetti, probabilmente perché inparecchi casi si trattava solo di speculazione territoriale. Il report ha elencato molte altre ragioni per spiegare questa partenza difficoltosa, tra cui “obiettivi irrealizzabili, variazioni dei prezzi, infrastrutture, tecnologie e istituzioni inadeguate”.
L’estensione dei territori interessati è nota solo per 203 dei 464 casi in esame, e finora ammonta a 56 milioni di ettari, più di quelli che, sommati insieme, sono coltivati a mais e frumento negli Stati Uniti. Particolarmente degno di nota è che dei 405 casi per i quali le informazioni relative alla coltivazione erano disponibili, il 21% era destinato a coltivazioni per la produzione di biocombustibili, un altro 21% per prodotti a fini industriali o commerciali, come gomma naturale e legname, e solo il 37% dei progetti prevedeva coltivazioni a scopo alimentare.
Quasi la metà di questi contratti, e quasi i due terzi delle terre, si trovavano nell’Africa subsahariana, probabilmente perché in quei luoghi il terreno è molto più economico che in Asia. In un’attenta analisi del fenomeno del land grabbing avvenuto tra il 2005 e il 2011 nell’Africa subshariana, George Schoneveld del Center for International Forestry Research ha rivelato che i due terzi della superficie interessata ricadeva in solo sette nazioni: Etiopia, Ghana, Liberia, Madagascar, Mozambico, Sudan del Sud e Zambia. In Etiopia per esempio, un ettaro di terreno può essere affittato per meno di 50 centesimi di dollaro l’anno, mentre nell’Asia, ove la terra scarseggia, può arrivare facilmente a costare 50 dollari o più.La regione che occupa il secondo posto per area coinvolta è il Sudest asiatico con la Cambogia, il Laos, le Filippine e l’Indonesia. Alcuni paesi hanno anche cercato territori nell’America Latina, specialmente in Brasile e Argentina. La Chongqing Grain Group, azienda di proprietà dello stato cinese, per esempio, ha dichiarato di aver coltivato nello stato brasiliano di Bahia oltre 200.000 ettari a soia per inviarla in Cina. Questa compagnia ha annunciato all’inizio del 2011 che, come parte di un pacchetto di investimenti multimiliardari in Bahia, avrebbe sviluppato una zona industriale con macchinari capaci di macinare 1,5 milioni di tonnellate di soia l’anno.
Sfortunatamente, i paesi che stanno vendendo o affittando il proprio territorio per la produzione di merci agricole da spedire all’estero sono tipicamente nazioni povere e molto di frequente, come in Etiopia e nel Sudan del Sud, luoghi in cui la fame è cronica. Entrambi questi paesi sono importanti destinatari di aiuti alimentari da parte del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite. In alcuni casi le acquisizioni territoriali sono dei veri e propri acquisti di terreno, ma nella stragrande maggioranza si tratta di affitti a lungo termine, in genere di 25 o 99 anni. Come risposta all’aumento dei prezzi petroliferi e a un crescente senso di insicurezza, le politiche energetiche che incoraggiano la produzione e l’uso dei biocarburanti sono anche corresponsabili del fenomeno del land grabbing. Ciò porta alla deforestazione di nuovi terreni o alla sottrazione di quelli esistenti destinati alle colture alimentari. Per esempio, la legge dell’Unione europea sull’energia rinnovabile, che richiede che il 10% dell’energia per i trasporti provenga entro il 2020 da fonti rinnovabili, sta incoraggiando le aziende dell’agribusiness a investire in terreni per la produzione di biocarburanti destinati al mercato europeo. Nell’Africa subsahariana molti investitori hanno piantato lajathropa (un arbusto che produce semi oleosi) e palme da olio, entrambi fonti di biodiesel. Una compagnia con sede nel Regno Unito, la Gem BioFuels, ha affittato mezzo milione di ettari in 18 comunità del Madagascar sui quali coltivare la jathropa. Alla fine del 2010 aveva piantumato 57.000 ettari con questo arbusto, ma dall’aprile 2012 sta riconsiderando la situazione a causa degli scarsi risultati del progetto. Numerose altre aziende che avevano in programma di produrre biodiesel dalla jathropa non sono andate molto meglio. L’entusiasmo iniziale sta svanendo dato che i rendimenti della jathropa sono inferiori al previsto e non vi sono ritorni economici. Sime Darby, una compagnia con sede in Malesia e che ha un ruolo importante nell’economia dell’olio di palma, ha affittato quasi 220.000 ettari in Liberia per lo sviluppo di piantagioni di palma da olio e di gomma naturale. Nel maggio 2011 ha avviato la prima piantumazione di palma da olio sul terreno interessato e l’azienda conta entro il 2030 di avere l’intera area in produzione.
Stiamo quindi assistendo a una corsa ai terreni agricoli oltre frontiera senza precedenti. Spinte dall’insicurezza energetica e alimentare, le acquisizioni territoriali sono oggi viste come un’opportunità di investimento speculativo. Fatou Mbaye di ActionAid in Senegal osserva, “i terreni stanno diventando il nuovo oro e la corsa all’accaparramento è in atto proprio ora”.
I capitali investiti giungono da più parti, incluse banche, fondi pensione, donazioni universitarie e persone benestanti. Molti grandi fondi d’investimento stanno inserendo l’attività agricola nei loro portafogli. Oltre a ciò, esistono molti fondi dedicati esclusivamente a investimenti di tipo agricolo. Dal 1991 al 2010, questi tipi di fondi hanno generato un tasso di ritorno che è stato approssimativamente doppio di quello dell’investimento in oro o dell’indice S&P 500, e di sette volte rispetto agli investimenti nel mattone. La maggior parte dei guadagni in queste attività sono iniziati a partire dal 2003.
Molti investitori hanno in progetto di usare i terreni acquisiti, ma ve ne è anche un folto gruppo che specula sui terreni non avendo né l’intenzione né la capacità di produrre raccolti. Ci si è accorti che i recenti rialzi nei prezzi del cibo probabilmente continueranno, facendo aumentare ancora di più il valore dei terreni sul lungo periodo. Ed è vero che i prezzi della terra sono in salita quasi ovunque.
Le acquisizioni territoriali sono in realtà anche acquisizioni idriche. Sia che la terra venga irrigata, o bagnata dalle piogge, un diritto di rivendicazione sulle terre equivale a una rivendicazione sulle risorse idriche del paese ospitante. Ciò significa che questi accordi sono una questione particolarmente delicata nei paesi con difficoltà idriche.
In un articolo pubblicato su Water Alternatives, Deborah Bossio e colleghi analizzano gli effetti delle acquisizioni territoriali in Etiopia sulla domanda di acqua a uso irriguo, e quindi le conseguenze sulla portata del fiume Nilo. Mettendo insieme i dati provenienti da 12 progetti confermati, con un’area complessiva di oltre 138.000 ettari, è stato calcolato che se tutta questa specifica area dovesse essere irrigata, come appare probabile, la superficie irrigata dell’intera regione aumenterebbe di sette volte. Ciò ridurrebbe approssimativamente del 4% la portata annuale del Nilo. Le acquisizioni in Etiopia, dove si trovano la maggior parte delle sorgenti del Nilo, o nei paesi del Sudan, i quali anche attingono dalle risorse idriche del Nilo, significano che l’Egitto avrà meno acqua e pertanto ridurrà il suo raccolto di frumento e aumenterà ulteriormente la sua già notevole dipendenza dalle importazioni.
Le estese acquisizioni territoriali sollevano molte questioni. Dato che spesso le superfici interessate dal land grabbing non sono libere, questiaccordi significano che molti agricoltori e pastori locali verranno semplicemente allontanati. I loro terreni possono essere espropriati o comprati a un prezzo non concordato, causando spesso conflitti.
Inoltre, questi accordi sono quasi sempre negoziati in segreto. In genere vengono coinvolti solo pochi ufficiali di alto grado e in via confidenziale. Non solo i portatori di interessi come gli agricoltori locali non siedono al tavolo delle trattative, ma spesso non sono nemmeno informati degli accordi presi fino a che non vengono sottoscritti e loro si trovano a essere sfrattati. Questo è spesso quello che avviene nei paesi in via di sviluppo, nei quali è lo stato e non l’agricoltore ad avere il possesso formale dei terreni. Di fronte a questo scenario, il contadino può essere facilmente costretto dal governo ad abbandonare la terra.
I residenti allontanati saranno lasciati senza terra o mezzi minimi di sostentamento, in una situazione dove la pratica agricola è diventata estremamente meccanizzata e quindi crea scarsa occupazione. La principale conseguenza sociale di queste acquisizioni territoriali è che contribuiscono notevolmente all’incremento del numero di affamati nel mondo. L’Oakland Institute, think-tank californiano, riporta come in Etiopia l’affitto ad aziende estere di immense aree ha causato “violazioni dei diritti umani e lo spostamento forzato di più di un milione di etiopi”. La prospettiva è che, dal momento che il governo dell’Etiopia sta procedendo con il suo programma di locazione territoriale, molti più residenti verranno spostati con la forza.
In un articolo pubblicato sull’Observer, che è diventato un punto di riferimento sul fenomeno delle sottrazioni territoriali in Africa, John Vidal riferisce le parole di un etiope, Nykaw Ochalla, della regione di Gambella: “ le compagnie straniere sono arrivate numerose, privando le persone della terra che avevano utilizzato per secoli. Non esiste alcuna consultazione con la popolazione locale. Gli accordi vengono presi in segretezza. La sola cosa che i residenti vedono sono persone che arrivano con numerosi trattori per invadere le loro terre”. Parlando del suo villaggio, Ochalalla racconta, “i campi sono stati requisiti senza riconoscere alcuna compensazione. I residenti non potevano credere ai loro occhi”. L’ostilità da parte della popolazione locale verso il land grabbing è la regola, non l’eccezione. La Cina per esempio, ha firmato nel 2007 un accordo con il governo delle Filippine per l’affitto di un milione di ettari di terreno sul quale produrre raccolti che sarebbero poi stati portati in patria. Una volta che la notizia trapelò, la protesta pubblica, per lo più da parte degli agricoltori filippini, ha costretto il governo a sospendere l’accordo. Una situazione analoga si è verificata in Madagascar, dove un’azienda sudcoreana, la Daewoo Logistics, ha tentato di acquisire diritti su più di un milione e mezzo di ettari di territorio, una superficie pari alla metà del Belgio. Ciò ha alimentato una rivolta politica che ha portato alla caduta del governo e alla cancellazione dell’accordo. Come possono essere resi produttivi i terreni che al momento non vengono coltivati? Probabilmente fornendo conoscenze e tecnologie con le quali, nella maggior parte dei casi, possono essere raggiunti notevoli miglioramenti della resa. Come dimostrato in Malawi (vedi il capitolo 7), semplicemente somministrando fertilizzanti a un suolo impoverito e utilizzando semi migliorati, grazie alle piogge è possibile raddoppiare le rese cerealicole.
Forse la domanda più importante è: quali saranno gli effetti sulla popolazione locale? L’approccio del programma seguito in Malawi nell’aiuto diretto agli agricoltori locali è in grado di incrementare fortemente la produzione alimentare, di innalzare il reddito degli abitanti, di ridurre la fame, di guadagnare dagli scambi con l’estero: è una situazione quattro volte vincente. Ciò contrasta con quella invece tre volte perdente che segue alle sottrazioni territoriali: gli abitanti perdono le proprie terre, il proprio cibo e i loro mezzi di sostentamento.
In alcuni paesi ci saranno degli spettacolari incrementi produttivi, ma ci saranno certamente anche dei fallimenti. Alcuni progetti sono già stati abbandonati. Molti di più lo saranno semplicemente perché il ritorno economico non c’è. La coltivazione a lunga distanza, con la necessità di viaggi e trasporti, può essere costosa, in modo particolare quando i prezzi del petrolio sono alti.
Prima di tutto, mentre le notizie di nuove acquisizioni territoriali sono comparse a un ritmo crescente, oggi lo sviluppo dei terreni interessati va a rilento. Gli investitori tendono a concentrarsi sui costi della produzione del raccolto senza considerare adeguatamente quelli della costruzione di una moderna infrastruttura agricola, necessaria a supportare con successo lo sviluppo della porzione del territorio acquisito. La maggior parte dei paesi subsahariani sono in questo molto deficitari, il che significa per gli investitori che il costo per le necessarie implementazioni potrebbe essere insostenibile.
In alcune nazioni ci vorranno anni per costruire le strade necessarie a trasportare verso l’interno i materiali necessari alle coltivazioni, come i fertilizzanti, e i prodotti verso l’esterno. Oltre a ciò, vi è necessità di forniture locali di energia elettrica e di gasolio, per azionare le pompe di irrigazione, e di un ben dotato sistema di supporto per il mantenimento dell’attività agricola, nel caso i macchinari siano lasciati inattivi nell’attesa che il personale addetto alla riparazione e i ricambi arrivino da tanto lontano. La manutenzione di una flotta di trattori, per esempio, richiede non solo meccanici esperti, ma anche la presenza sul luogo di scorte per pneumatici o accumulatori. Silos ed essiccatori per i cereali sono essenziali in questo tipo di attività. Devono essere costruiti anche magazzini per i carburanti e i fertilizzanti.
Un altro fattore che complica le cose sono le svariate regole e procedure governative. Per esempio se quasi tutto l’equipaggiamento e i materiali necessari alla moderna pratica agricola devono essere importati, ciò richiede una certa familiarità con le pratiche di dogana. In aggiunta, potrebbero essere necessari numerosi permessi per la trivellazione di pozzi e la costruzione di canali irrigui o l’allacciamento alla rete elettrica locale, sempreché ne esista una.
Quando l’Arabia Saudita ha deciso di investire nelle attività agricole creò la King Abdullah’s Initiative for Saudi Agricultural Investment Abroad, un programma per semplificare le acquisizioni territoriali e l’agricoltura in altri paesi quali il Sudan, l’Egitto, l’Etiopia, la Turchia, l’Ucraina, il Kazakistan, le Filippine, il Vietnam e il Brasile. Il ministro del Commercio e dell’industria saudita diede avvio a un’indagine per comprendere il motivo per il quale i progetti si stessero muovendo a un ritmo così lento: impararono che l’acquisire terreni all’estero è solo il primo passo. L’agricoltura moderna dipende da grandi investimenti nelle infrastrutture, e ciò risultava costoso anche per i ricchi sauditi.
Altra notevole difficoltà legata all’avvio di nuovi progetti agricoli in paesi ove i suoli, il clima, le precipitazioni, le infestazioni da insetti e le malattie vegetali sono profondamente differenti da quelle del paese investitore, è la mancanza di conoscenze. Quando vengono introdotte nuovecolture ci saranno certamente perdite impreviste per malattie delle piante o infestazioni da parte di insetti, specialmente perché molti degli accordi hanno come oggetto terre in regioni tropicali e subtropicali.
Una mancanza di familiarità con l’ecosistema locale può comportare un ampio ventaglio di rischi. L’azienda indiana Karuturi Global è il più grande produttore mondiale di rose da taglio che coltiva in Etiopia, Kenya e India per i mercati ricchi. L’azienda si è recentemente lanciata nella corsa all’accaparramento delle terre, accettando subito nel 2008 l’offerta di 300.000 ettari da coltivare nella regione etiope di Gambella. Nel 2011, la compagnia ha seminato il suo primo campo di mais nel fertile terreno presso il fiume Baro. Consapevole delle possibili inondazioni, la Karuturi ha investito pesantemente nella costruzione di argini lungo il fiume, che però non si sono dimostrati sufficienti e 50.000 tonnellate di mais sono andare perse in una piena improvvisa. Per sua fortuna l’azienda era abbastanza solida da sopravvivere a questa grave perdita.
Alla fine dei conti, la verità è che gli investitori nel rendere produttive queste aree si trovano a dover affrontare dei costi sempre crescenti. Persino nei casi in cui il terreno sia relativamente economico, il cibo coltivato a queste condizioni e trasportato ai paesi di destinazione risulterà essere estremamente costoso.
Sebbene questa raffica di acquisizioni territoriali su larga scala sia cominciata nel 2008, al 2012 si hanno relativamente pochi risultati da valutare. I sauditi hanno raccolto il primo riso in Etiopia, sebbene in piccola quantità, sul finire del 2008.
Nel 2009, la Hyundai Heavy Industries della Corea del Sud, su una coltivazione di 10.000 ettari che rilevò da proprietari russi, approssimativamente 160 chilometri a nord di Vladivostok, ha prodotto circa 4.500 tonnellate di soia e 2.000 di mais. La Hyundai aveva progettato di espandere rapidamente la produzione a 100.000 tonnellate di mais e soia entro il 2015. Ma nel 2012 il suo primo raccolto è stato di sole 9.000 tonnellate, allontanandola di gran lunga dalle previsioni per il 2015. Il vantaggio per la Hyundai è stato che quel luogo era sede di una fattoria già funzionante e l’infrastruttura di supporto già esistente. Ma anche se la Hyundai dovesse raggiungere l’obiettivo delle 100.000 tonnellate riuscirebbe a coprire solamente l’1% del consumo sudcoreano di questi prodotti. Un’altra delle acquisizioni che sembra procedere è nel Sudan del Sud, dove la compagnia di private equity Citadel Capital ha affittato 100.000 ettari di terreno agricolo. Nel 2011 ha dato il via alla produzione con un campo pilota di ceci da 600 ettari. Il progetto è di estendere l’area destinata a questa coltura in cinque anni fino a 50.000 ettari. L’obiettivo complessivo finale è la produzione di quelle colture, anche di mais e sorgo, per le quali esiste un vasto mercato locale e di produrle molto al di sotto dei prezzi d’importazione. Questo specifico progetto apparentemente è diretto al consumo locale. Ma purtroppo lo stesso non può dirsi della maggior parte degli accaparramenti oltrefrontiera.
Le acquisizioni territoriali, che siano finalizzate alla produzione di alimenti, di biocarburante o di altre tipologie di coltivazioni, sollevano la questione di chi ne trae beneficio. Quando in pratica tutti i materiali, i macchinari agricoli, i fertilizzanti, i pesticidi, i semi, sono portati da fuori e tutto il prodotto va all’estero, vi è uno scarso contributo all’economia locale e nullo all’approvvigionamento alimentare del paese ospitante. Queste sottrazioni di territorio non solo vanno a vantaggio dei più ricchi, ma lo fanno a scapito dei più poveri.
Una delle variabili più difficili da valutare è la stabilità politica dei paesi ove sono localizzate le terre oggetto di acquisizioni. Nel caso i partiti di opposizione dovessero salire al governo, questi possono cancellare gli accordi, sostenendo che le trattative erano state mantenute riservate senza una partecipazione o una consultazione pubblica. Particolarmente a rischio sono le acquisizioni territoriali in Sudan del Sud e nella Repubblica Democratica del Congo, entrambi nella lista degli stati in fallimento. Poche cose sono in grado di scatenare insurrezioni come la sottrazione della terra ai popoli. I macchinari agricoli sono facilmente sabotabili. Se viene appiccato il fuoco ai campi di cereali giunti a maturazione, questi bruciano rapidamente.
In Etiopia, l’opposizione locale al land grabbing sembra che stia passando dalla protesta alla violenza. Alla fine di aprile 2012, uomini armati hanno attaccato i lavoratori nei campi di riso acquisiti dal miliardario saudita Mohammed al-Amoudi nella regione di Gambella. Cinque persone sono morte e nove altre ferite. L’azienda di al-Amoudi, la Saudi Star Agricultural Development, stava coltivando riso su appena 350 ettari dei 10.000 affittati dalla metà del 2012 e intendeva ottenere altri 290.000 ettari nella regione, con la maggior parte del riso raccolto da esportare in Arabia Saudita. La Banca Mondiale, in collaborazione con l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), e altre agenzie collegate, ha stabilito una serie di regole per le acquisizioni territoriali. Queste linee guida sono ben concepite, ma purtroppo non esiste alcun meccanismo che le faccia rispettare. La Banca Mondiale non sembra intenzionata a contrastare i paesi che acquisiscono i territori sostenendo che ciò porterà dei benefici alle popolazioni che vivono nei paesi ospitanti. Una coalizione di oltre cento Ong, nazionali e internazionali, si sta opponendo strenuamente al fenomeno delle acquisizioni territoriali. Questi gruppi affermano che il mondo non ha bisogno di multinazionali che portino nei paesi in via di sviluppo un’agricoltura di larga scala, altamente meccanizzata e con ingenti capitali. Piuttosto queste nazioni necessitano di supporto internazionale per un’agricoltura locale di piccole dimensioni, a grande impiego di manodopera nelle fattorie familiari e che producano per i mercati locali e regionali creando il lavoro di cui hanno disperatamente bisogno.
A mano a mano che i terreni coltivabili e l’acqua diventano scarsi, la temperatura della Terra sale e si deteriorano le basi per la sicurezza alimentare, va emergendo una pericolosa geopolitica della scarsità alimentare. Le condizioni che hanno dato luogo a questo fenomeno sono state latenti per molti decenni, ma solo negli ultimi anni la situazione è diventata oggetto di reale attenzione. Le acquisizioni territoriali di cui si è parlato in questo capitolo sono parte integrante di una lotta di potere planetaria per il controllo delle risorse idriche e territoriali del pianeta.
fonte: http://www.indipendenzaenergetica.it/: